IL COMMENTO

C’è chi dice sia meglio non parlare di certe cose

Non bisogna essere procuratori pubblici né detective per capire che quando qualcuno pretende il silenzio della stampa, è perché ha qualcosa da nascondere

In sintesi:
  • C’è un brano di Sumo risalito e giunto all'orecchio del consigliere di Stato Zali e del governo
  • Sotto una certa luce sarebbe ‘coerente’ l’istanza del direttore del Dt tesa a impedire l’accesso de laRegione all’aula penale
Una sorta di mantra
(Ti-Press)
14 agosto 2024
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Tutto ciò che sale deve anche scendere, diceva Isaac Newton. A scendere, fino ad arrivare in Argentina, sfuggendo dall’eroina, è stato il cantautore italiano Luca Prodan. Correva l’anno 1980. Laggiù formò una band, Sumo, che nel giro di poco tempo – quello che ha preceduto la morte di Prodan (1987) – sarebbe diventata uno dei gruppi più mitici della storia del rock argentino e sudamericano. Nel loro primo disco non ufficiale ‘Reggiseni all’alba’ (un po’ rock, un po’ punk, ma anche un po’ reggae) Prodan canta, col suo simpatico castigliano italianizzato, uno dei suoi brani più famosi: ‘Meglio non parlare di certe cose’.

Un brano che in qualche modo, contraddicendo l’assunto di Newton, sembra essere risalito e giunto, chissà per quali vie traverse, all’orecchio del consigliere di Stato Claudio Zali e dell’intero Collegio governativo ticinese. Pervenuto e qui rimasto, fino a diventare una sorta di mantra.

Sotto questa luce, in effetti, sarebbe possibile ritenere coerente l’istanza presentata dal direttore del Dipartimento del territorio tesa a impedire l’accesso de laRegione all’aula penale nella quale il consigliere di Stato leghista comparirà prossimamente (il dibattimento – pubblico – non è stato ancora fissato) quale presunta vittima di tentata estorsione, tentata e consumata coazione, diffamazione e ingiuria, secondo quanto emerge dall’atto di accusa emanato nei confronti di una donna dal procuratore generale Andrea Pagani. Un’istanza coerente, si diceva, rispetto a un atteggiamento dell’intero Consiglio di Stato in cui a prevalere è il silenzio. Un silenzio assordante, in particolare quando ci si riferisce a dei fatti che richiederebbero invece da parte del governo la massima apertura e trasparenza.

Infatti è pure notizia recente l’opposizione espressa dall’Esecutivo a concedere al nostro giornale l’accesso alla decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi Ares Bernasconi di dissigillare l’incarto relativo all’ex Macello. Parere negativo del governo che non ha convinto il gpc, il quale ha infine trasmesso a laRegione una copia anonimizzata della sua decisione perché – ha argomentato – “la ricerca della verità viene prima dei sigilli”. Una frase che richiama quanto asserito dal giudice Siro Quadri anni fa, al momento di prosciogliere i colleghi della redazione del domenicale ‘Il Caffè’ nella famosa causa intentata dalla clinica Sant’Anna: “È meglio accettare che il cane da guardia della democrazia abbai anche per niente, piuttosto che non abbai affatto quando c’è un pericolo”.

Fatto sta che non bisogna essere procuratori, avvocati né tanto meno detective per capire che quando qualcuno pretende il silenzio, soprattutto il silenzio della stampa, è perché ha qualcosa da nascondere. Perché determinate informazioni, se di dominio pubblico, potrebbero in qualche modo andare contro gli interessi di chi esercita una funzione istituzionale di altissimo livello, arrivando addirittura a mettere in discussione l’idoneità di determinate persone a ricoprire determinate cariche.

Nel brano ‘Meglio non parlare di certe cose’ Prodan a un certo punto canta, col suo simpatico castigliano italianizzato, che “un tornado travolse la tua città e il tuo giardino primitivo”. Forse sarà meglio per i presunti intoccabili mantenere attive le allerte meteo: laRegione abbaia se ritiene di doverlo fare, ma soprattutto non demorde.

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