laR+ IL COMMENTO

Ex Macello, dal governo un silenzio incomprensibile

Il Consiglio di Stato non intende collaborare per fare emergere la verità su quel che è accaduto la notte tra il 29 e il 30 maggio 2021

In sintesi:
  • Da due premesse vere deriva necessariamente una conclusione vera
  • Dallo scritto del Gpc emergono elementi importanti
  • Quando le forze dell’ordine oppongono il segreto al potere giudiziario c’è di che preoccuparsi
Silenzio difende sigilli
(Ti-Press)
30 luglio 2024
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A rigor di logica, in un sillogismo valido, da due premesse vere deriva necessariamente una conclusione vera.

Il giudice dei provvedimenti coercitivi (gpc) Ares Bernasconi scrive nella sua decisione dello scorso 10 maggio, decisione tramite la quale accoglie l’istanza del procuratore generale Andrea Pagani tesa a rimuovere i sigilli posti dalla Polizia cantonale su alcune parti della documentazione concernente l’operazione che portò alla demolizione dello stabile ‘F’ dell’ex Macello a Lugano nella notte tra il 29 e il 30 maggio 2021, che “la ricerca della verità prevale al mantenimento dei sigilli”. Inoltre, annota il gpc, “dal silenzio del Consiglio di Stato non si può non dedurre un notevole interesse alla difesa delle proprie prerogative”, cioè al mantenimento dei sigilli voluti dal comandante Matteo Cocchi. Un silenzio incomprensibile, quello del governo, che ha preferito rimanere muto durante tutta la procedura.

Dallo scritto del gpc emergono però elementi importanti. A un certo punto il giudice ribadisce come, secondo gli atti istruttori a cui ha avuto accesso, la demolizione dello stabile ‘F’ dell’ex Macello ha avuto luogo “senza che vi fosse la relativa licenza edilizia, e senza aver esperito le verifiche necessarie ai sensi della protezione dell’ambiente, causando al contempo il danneggiamento di beni mobili ubicati all’interno dell’edificio”. Tali circostanze si sono verificate “allorquando, perlomeno dall’11 marzo 2021 è stato costituito uno Stato maggiore che ha ipotizzato, tra i vari scenari possibili, interventi di natura edilizia”. Vi sono inoltre “scambi di corrispondenza tra il Dicastero immobili della Città di Lugano e la Polizia di Lugano, risalenti al 12 marzo 2021, nei quali si discute in merito all’ipotetica demolizione”. Agli atti vi è pure “un verbale di una riunione svoltasi in data 6 maggio 2021 tra degli ufficiali della Polizia cantonale e dei municipali di Lugano dov’è stato espressamente indicato che – cita Bernasconi – ‘la rioccupazione è un elemento da considerare, la ditta dovrà essere subito presente per eliminare l’infrastruttura’”.

C’è poi un particolare, rilevante, che la dice lunga su come la Polizia cantonale intenda, si spera limitatamente al caso concreto, i rapporti con il Ministero pubblico. Questo particolare è nell’istanza di dissigillamento avanzata nel novembre 2023 dal pg Andrea Pagani e menzionata nella decisione del gpc. A un certo punto Pagani sostiene che “è pacifico che la risposta al quesito a sapere se un determinato documento sia utile (o meno) all’accertamento dei fatti spetta al pubblico ministero e non a chi è stato raggiunto da un ordine di perquisizione e sequestro”. Verissimo. E dovrebbe essere un dato assodato, soprattutto per chi è istituzionalmente chiamato a collaborare con la magistratura inquirente nell’accertamento dei fatti, nel chiarire i reati. Cioè la polizia. Così, almeno nella fattispecie, non è. Quando le forze dell’ordine oppongono il segreto al potere giudiziario c’è di che preoccuparsi: è un pessimo segnale per lo Stato di diritto, che non deve avere zone franche.

Estrapolando, insomma, le due premesse contenute nella decisione del gpc (A: la verità viene prima dei sigilli; B: il silenzio difende i sigilli), si giunge a una triste quanto inequivocabile conclusione: il governo non ha alcun interesse a collaborare pur di consentire all’inchiesta (bis) del pg Pagani di fare emergere la verità su quel che è accaduto la notte tra il 29 e il 30 maggio 2021. Incomprensibile. A maggior ragione se del Consiglio di Stato fa parte un ex giudice (e già presidente) del Tribunale penale cantonale, attuale responsabile politico della polizia.