Lo stato precario del settore tutele e curatele è efficacemente descritto nella lettera delle autorità di protezione. La politica deve muoversi
Se serviva una dettagliata, efficace e coraggiosa descrizione dello stato precario in cui versa il settore delle tutele e delle curatele in Ticino, questa l’hanno fatta i presidenti delle Arp, le Autorità regionali di protezione, nella recente lettera alla politica cantonale. Cinque pagine nelle quali tratteggiano un quadro allarmante. Segnalano “le importanti e crescenti difficoltà che riscontriamo purtroppo quotidianamente nell’ambito dell’esecuzione dei compiti di protezione a favore di minori e adulti”. Lamentano l’inadeguatezza “dell’attuale contesto organizzativo”. Riferiscono di “funzionamenti differenti” delle stesse Arp. Cosa che si traduce, denuncia ancora la missiva, in “inevitabili disparità di trattamento delle persone vulnerabili”. Disparità di trattamento. Il che è inammissibile.
Attenzione, perché le pesanti criticità del vigente sistema vengono evidenziate non da ‘utenti’ di questa o quell’Arp insoddisfatti, bensì dai vertici delle sedici Autorità regionali di protezione, le strutture, gestite dai Comuni, che operano al fronte, a stretto contatto con il disagio e la sofferenza. E che per questo sono chiamate a decidere le misure appropriate a tutela degli interessi di soggetti fragili. Curatele, ricoveri a scopo di assistenza, collocamenti, sorveglianza educativa… Sono diversi i provvedimenti, delicati in quanto invasivi della sfera privata, di cui possono essere destinatari adulti e minori in grave difficoltà, persone che uno Stato che si definisce inclusivo non può permettersi di ignorare, a maggior ragione se la sua popolazione sta invecchiando e un numero crescente di suoi cittadini fatica ad arrivare alla fine del mese.
E allora uno Stato responsabile deve pure garantire le risorse necessarie a chi appunto opera al fronte. Tuttavia, stando sempre alla lettera delle Arp al parlamento e ai dipartimenti Istituzioni e Sanità e socialità, diversi servizi – sociali, medici, psicologici, educativi ecc. – sui quali le Autorità regionali di protezione si appoggiano sono in affanno, anche a causa dei risparmi attuati “a più livelli, cantonale in primis”. La politica dei tagli, avvertono i presidenti delle Arp, se “nel corto termine porta benefici ai conti pubblici, sul lungo termine non potrà che portare a una crescita esponenziale dei costi sociali, sanitari e di sicurezza pubblica”. Parole eloquenti, soprattutto in vista della seconda manovra di rientro alla quale sta lavorando il Consiglio di Stato.
Il frasario di una parte della politica nostrana è noto: vanno stabilite delle priorità, serve una revisione della spesa… Intanto i bisogni aumentano. Quello dei presidenti delle Arp, ha dichiarato il deputato del Ps Danilo Forini, “è un grido d’allarme che non può essere assolutamente ignorato”. Non basta però ascoltarlo. Occorre agire. E rapidamente. I correttivi all’odierno settore tutele e curatele urgono. Anche perché ai citati servizi faranno poi capo le Preture di protezione, che subentreranno alle Arp. I presidenti di queste ultime sollecitano “una celere implementazione” delle nuove autorità giudiziarie. “Hanno ragione, come politici dobbiamo accelerare”, ha riconosciuto il granconsigliere leghista Alessandro Mazzoleni, relatore sul progetto governativo di riforma, di cui le Preture di protezione sono l’elemento cardine. Nel frattempo dalla votazione popolare che ha sancito il passaggio dal modello amministrativo (Arp) a quello giudiziario (Preture di protezione) sono trascorsi quasi due anni… Aspetta e spera. Ah, un dettaglio (rilevante): non è ancora chiaro come verrà finanziata la futura organizzazione.
I politici (ri)leggano bene quella lettera.