laR+ IL COMMENTO

Un gioco da ragazze? Non per tutti

Malgrado i progressi compiuti, il calcio femminile – lo abbiamo visto ai recenti Mondiali – è ancora bersaglio di critiche e pregiudizi

In sintesi:
  • Alcune convinzioni sono dure a morire, e così il football muliebre ancora fatica a ritagliarsi lo spazio che reclama
  • Va pur detto che, sia a livello tecnico sia dal punto di vista organizzativo, il margine di miglioramento è davvero ampio
22 agosto 2023
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“Il calcio non è adatto alle donne”. Un’affermazione pronunciata nel lontano 1921 dalla Federazione inglese. Di acqua sotto i ponti ne è passata, eppure ancora troppo spesso le vicende extracalcistiche prevalgono su quanto accade in campo. Che sia l’ultima foto di Alisha Lehmann o l’orientamento sessuale delle giocatrici, sono tutte questioni che offuscano i progressi a livello tecnico. A poche ore da una storica finale ha fatto più clamore il bacio strappato senza consenso da Luis Rubiales a Jennifer Hermoso (comportamento machista reiterato, fra le principali cause dell’ammutinamento in seno alle Furie Rosse) che l’impresa della Spagna. Pregiudizi antichi come la notte dei tempi, ma l’errore più comune nell’ammirare il calcio muliebre è di approcciarsi nello stesso modo in cui si contempla quello maschile: si è accompagnati da alcuni stereotipi che influenzano la percezione del gesto atletico. E ben l’ha mostrato una nota campagna pubblicitaria mettendo la faccia di un giocatore sulle movenze di una calciatrice; se veramente si vuole apprezzare questo spettacolo, bisogna iniziare ad accantonare il perenne e istintivo paragone con il panorama maschile. Le differenze anatomiche e strutturali sono lapalissiane, come in qualsiasi altra disciplina. Ciò non implica che sia meno affascinante, anzi, in campo si percepisce una maggior predisposizione (lo dice la scienza) a soffrire e gettare il cuore oltre l’ostacolo. I valori prevalgono fortunatamente ancora sulle motivazioni economiche rendendo il tutto più genuino. D’altronde il pallone è passione, senza calcoli aritmetici. L’emozione è assicurata, basta ‘solo’ apprezzare in egual misura la generosità e la temerarietà messe in campo dalle ragazze. Un po’ come bisogna sempre sostenere i propri figli, maschi o femmine che siano.
Chi storce il naso quando sente l’accostamento donna-pallone si è forse ricreduto concedendo un po’ del suo tempo alla rassegna appena conclusa. Le finaliste Spagna e Inghilterra propongono un calcio fluido e caratterizzato da poche interruzioni. Cadono, e si rialzano. Oggi anche le squadre cosiddette materasso mostrano un’idea di gioco. E questo grazie a programmi di formazione idonei e alla maggior professionalizzazione.

Una battaglia spostatasi fuori dal campo affinché fossero riconosciute piccole, ma vitali, opportunità. Le giocatrici non sono più attrazioni da circo, bensì paladine dei cambiamenti; esempi che permettono alle bambine d’innamorarsi anche solo per mero piacere di scarpini e parastinchi senza la paura di sbucciarsi le ginocchia e risultare meno affascinanti; quei lividi, prima o poi, spariranno. Ciò si traduce in maggiori tesserate e, giocoforza, strutture più solide che incentivano una progressione tecnico-tattica. Una crescita di cui hanno beneficiato i maggiori campionati europei. Dai campi malandati si è passati a veri e propri impianti, e l’epicentro del calcio femminile si è spostato dal Nordamerica alle nostre latitudini appassionando sempre più spettatori privi di scetticismi. Nelle ultime settimane, bisogna ammetterlo, in Australia e Nuova Zelanda qualche errore piuttosto imbarazzante è affiorato. I Mondiali in Qatar non hanno comunque sempre dispensato (e questo è l’unico confronto) calcio champagne. Il cammino è ancora lungo e tortuoso: come ben affermato dalla capitana dell’Inghilterra Leah Williamson, “le calciatrici non sono le principesse della favola della buonanotte, ma donne che hanno trovato il modo di esprimersi” quando era loro negato; forse, allora, il calcio è adatto pure alle donne. Ognuno è comunque libero di continuare a ignorarlo, ci mancherebbe.

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