A pochi giorni dai Mondiali sono molte le assenze causate da questo infortunio. Siragusa: ‘Rischio dalle quattro alle sei volte maggiore nelle donne’
Delphine Cascarino, Beth Mead, Vivianne Miedema, Leah Williamson e più recentemente la giovane rossocrociata Iman Beney. Nomi forse poco conosciuti e che rimarranno tali (almeno) sino alla prossima stagione giacché tutte loro dovranno rinunciare ai Mondiali in programma da fine luglio in Australia e Nuova Zelanda. Il motivo? Il legamento crociato anteriore. La sua rottura è infatti uno dei problemi più grandi del calcio femminile a causa dei tempi di recupero e del potenziale impatto a lungo termine sulla carriera di una giocatrice. Una vera e propria ecatombe, su tutte quella in casa Arsenal (ben quattro lesioni in un anno!), che ha innescato una richiesta di maggiori indagini per cercare di comprenderne i fattori. «La probabilità di rompere nella propria carriera il crociato è da quattro sino a sei volte più frequente nelle donne rispetto alla controparte maschile – spiega il responsabile del Centro cantonale di medicina sportiva Patrick Siragusa –. Le cause possono essere molteplici, ad esempio strutturali: la predisposizione ad avere le ginocchia in valgo, ossia maggiormente inclini ad assumere una caratteristica posizione a ‘ics’ dovuta in primis alla differente conformazione del bacino. Una condizione che mette più a rischio».
D’altra parte «occorre considerare l’aspetto ormonale, soprattutto durante l’ovulazione. Il costante incremento di estrogeni può influire sulla lassità (elasticità) dei legamenti, influenzando la stabilità delle articolazioni». Il crociato si lacera infatti spesso nel corso di azioni senza contatto, quando si posiziona in malo modo il piede. E, dunque, sorge una domanda: questa frequente incidenza fra le donne è da ricondurre solo all’anatomia? O cultura e società possono influenzare, e plasmare, la crescita di una ragazza? «Talvolta è una questione tecnica, di come hanno imparato a effettuare i cambi di direzione, i salti o semplicemente le decelerazioni. Nel settore femminile la preparazione atletica, di più nella fase della pubertà, dove s’impara a compiere i movimenti in maniera corretta, ha delle carenze un po’ ovunque; in alcuni Paesi marcate, in altri meno. Questo deficit è difficile da sradicare in età adulta. È un mondo spesso ancora semiprofessionistico, giocoforza la preparazione atletica (che è un aspetto estremamente importante) è inferiore rispetto ai colleghi uomini. A seconda della squadra e della nazione in cui si cresce, poi, nel percorso sportivo emergono differenti fattori di pericolo».
La repentina crescita del calcio femminile ha causato un aumento della quantità di partite così da imitare il calendario maschile e rendere il gioco più intensivo. “La professionalizzazione ha generato maggiori pressioni, ma le condizioni di lavoro nonché il benessere delle giocatrici sono rimasti invariati o, addirittura, peggiorati”, ha dichiarato Mead. L’emisfero di Messi e compagni, beninteso, ha una storia assai più consolidata, lunga e redditizia. La solidità delle strutture femminili (a partire dalle accademie) deve essere migliorata affinché le ragazze siano meno esposte a queste situazioni di forte rischio. Uno studio apparso sulla rivista British Journal of Sports Medicine ha indicato la componente di genere, fattori esterni quali l’accesso e la qualità dell’allenamento, come possibile movente. Altre disparità riguardano i campi utilizzati, ad esempio, nel massimo campionato inglese rispetto alla Premier. E l’equipaggiamento, vedasi gli scarpini: le donne si muovono e corrono in modo differente, eppure forma e lunghezza dei tacchetti sono ideate e concepite in base alla struttura corporea maschile. «È necessario effettuare ulteriori studi, prima di asserire che delle scarpe realizzate espressamente per le donne possono ridurre il numero di infortuni», continua Siragusa. Le principali case produttrici sono dunque corse ai ripari sviluppando modelli specifici, disponibili verosimilmente a inizio Mondiali.
Una lesione del legamento crociato anteriore è difficile da assorbire, emotivamente e fisicamente. La tempistica di recupero è ampia. «Dai nove ai dodici mesi. Non se ne parla abbastanza, ma un ginocchio operato non sarà mai come prima: bisogna munirsi di pazienza ed effettuare una buona preparazione, magari cercando di correggere le precedenti lacune. Questi nove (minimo) mesi sono da sfruttare iniziando sin dai primi giorni la riabilitazione, rinforzando la muscolatura e integrando allenamenti cosiddetti neuromuscolari, ossia di coordinazione e propriocezione, in modo da evitare una recidiva. Un 20% delle giocatrici si rompe infatti di nuovo il legamento, in particolar modo se torna in campo troppo presto». Ne è ben consapevole la nostra Meriem Terchoun, laceratasi a tre riprese il crociato e accollatasi tutte le spese riabilitative. La carriera di una calciatrice è breve, e precaria, perderne anche solo una parte a causa di un infortunio può risultare controproducente non permettendole di capitalizzare tutto il potenziale. «A volte manca una riabilitazione fatta a regola d’arte perché si lavora e la fisioterapia passa in secondo piano. Questo dipende principalmente dalle risorse a disposizione delle società. Più sono professionali, strutturate, e più sono munite di un preparatore atletico che recupera l’atleta. E non solo il paziente». Non tutte riescono però a tornare allo stesso livello. O, addirittura, a scendere ancora in campo; molte hanno affermato di aver dovuto reimparare la meccanica della camminata. È successo alla nordirlandese Simone Magill: “Ho (ri)acquisito questa capacità – ha spiegato la diretta interessata – dinnanzi allo specchio, concentrandomi sul movimento da ginocchio a punta e viceversa. Non avevo idea, pensavo che sarei stata dolorante qualche settimana e dopodiché tutto sarebbe tornato come prima”. La rottura del crociato anteriore implica un’ampia gamma di sfaccettature, spesso tralasciate. La prevenzione risulta dunque fondamentale, chiarisce Siragusa. «Le ragazze sono chiamate ad allenare la propria forza atletica fin da bambine: un programma del massimo organo calcistico, chiamato Fifa 11+, composto da quindici esercizi suddivisi in tre blocchi, adatta la preparazione a età e capacità tecniche. Il suo completamento richiede circa venti minuti, ma rientra nel riscaldamento».
Da considerare infine allenamenti neuromuscolari, o più semplicemente di coordinazione. «Un programma appropriato riduce il rischio di lesione del 30-40%. Malgrado alcune ragazze militino in campionati o squadre di alto livello, il calcio viene spesso praticato come attività accessoria. Le professioniste completano tutto il programma, mentre le altre si allenano solo sul campo, palla al piede. Quando bisogna sacrificare qualcosa, la prima è la palestra». È della medesima opinione Andrew Greene, docente in biomeccanica presso l’università di Roehampton: “Abituando le atlete a fermarsi, ripartire e cambiare direzione in un ambiente controllato permetterà di stabilizzare le articolazioni. E ridurre il rischio di infortuni. Affidarsi a un programma di palestra solo una volta alla settimana non è sufficiente”, ha dichiarato alla Bbc. Le ricerche scientifiche (più dell’80%), inoltre, sono prevalentemente incentrate sul corpo maschile. «È una lacuna risaputa, e influiscono differenti fattori: il campione più ampio, i finanziamenti e la cultura. Le possibilità di fare prevenzione esistono, ma non sono applicate a sufficienza», puntualizza Siragusa. Il medico spera che la professionalizzazione possa migliorare la situazione. «Nelle leghe minori queste prassi, che tutti gli allenatori conoscono, non sono sempre rispettate. La messa in pratica è carente sia fra gli uomini che fra le donne».