Non è un fallimento, mancare (di poco) un obiettivo: cinque o sei punti in meno non possono giustificare che per l’Ambrì si parli di disastro
Esito negativo, disastroso, grave insuccesso. Così scrivono sulla Treccani, per spiegare il senso figurato della parola fallimento. Sì, ma insuccesso rispetto a cosa? In quale contesto? E quanto dev’essere grave, per esserlo davvero?
Partendo da un dato oggettivo, visto che naturalmente è stato lo stesso Ambrì a sbandierare ai quattro venti che l’obiettivo erano i preplayoff, quindi un piazzamento tra la settima e la decima posizione a fine regular season, va da sé che in presenza di un dodicesimo posto non si possa non parlare di obiettivo mancato. Da qui a diventare un disastro, però, ce ne passa. Basta alzare di poco lo sguardo per capire: Losanna 71 punti, in compagnia di Lugano e Berna, tutti appaiati all’ottavo posto, e Kloten 70. Avesse vinto il derby, rosicchiando due punti supplementari da qualche altra parte, oggi l’Ambrì sarebbe in ottima compagnia, invece di ritrovarsi con soli 66 punti. In altre parole, dopo 52 giornate di campionato la differenza è minima, in ogni caso non tale da giustificare di fare ricorso alla parola disastro.
Se è vero, com’è vero, che con i se e i con i ma non si scrive la storia, sarebbe un esercizio stucchevole e soprattutto superfluo cercare d’individuare dove andavano conquistati quei 5 o 6 punti che mancano all’appello in Leventina. Piuttosto, sarebbe utile scoprire quali sono i punti deboli che hanno fatto sì che quei 5 o 6 punti non siano arrivati. Cominciamo col dire che, a parte l’insipido innesto di Nick Shore poi dirottato in Svezia, alla Gottardo Arena la stagione è filata via senza grosse turbolenze, senza un vero e proprio ‘caso’, a differenza di quant’è successo altrove, in un contingente notevolmente potenziato nei ruoli chiave rispetto a qualche stagione prima. L’innegabile crescita della qualità di alcuni singoli, tuttavia, non è bastata: essendo una squadra il frutto di una somma di giocatori, in un gruppo serve anche la qualità complessiva, non soltanto quella dei suoi primattori. Insomma, non basta più avere due belle prime linee, ed è semmai da questo punto di vista che l’Ambrì paga dazio, guardando alle squadre che le stanno davanti: in un contesto del genere in cui crescono tutti, anche solo crescere un po’ meno può già essere un problema. E a proposito di problemi: come non pensare alla penuria di centri di peso (tolti gli scintillanti Heim e Spacek), all’assenza di un altro leader in difesa, stile Michael Fora (al giorno d’oggi, infatti, non si può dipendere per l’intera stagione da due giocatori, peraltro ottimi, come Virtanen e Heed) e, non da ultimo, alla questione delle energie, con la squadra che nel rush finale ha dato l’impressione di esserne un po’ a corto? Siamo poi così certi che non siano proprio le risorse spese tra Natale e Capodanno alla Coppa Spengler a essere venute meno, ora che ce n’era davvero bisogno?
Queste, e altre domande per il momento non avranno risposta. Anche perché, giustamente, chi ha interpellato Cereda dopo il derby s’è sentito dire che c’è ancora una partita (stasera a Rapperswil) prima dei bilanci. Bilanci societari, certo, ma – chissà – magari anche suoi. Del resto, Luca dispone di un contratto a tempo indeterminato e, qualora lo decidesse, sarebbe libero di trovarsi una nuova destinazione anche subito. Ciò che è sicuro, però, è che senza di lui, così come senza Paolo Duca, questo Ambrì non sarebbe la stessa cosa.