Processo Bouhlel: altro esempio di come l’estremismo islamista ben si concilia con quelle turbe mentali di un individuo disadattato
Si apre oggi senza l’imputato, senza veri complici e senza molta chiarezza sul movente, il processo di Parigi per il maggior attentato mai commesso da un solo individuo in un Paese occidentale. L’autore della strage, il 31enne tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, venne ucciso dalle forze di polizia mentre sul suo camion di 19 tonnellate aveva già percorso quasi due chilometri lasciando sulla "Promenade des Anglais" di Nizza una scia di 86 morti. Il rapporto della scena del crimine è un’infinita lista di brandelli di corpi, di scatole craniche fracassate, di biberon, carrozzine schiacciate. A due mesi dalla chiusura del processo per la carneficina del Bataclan, la Francia rivive quello che il quotidiano Le Monde definisce "un oceano di dolore" per il massacro compiuto l’anno successivo, era il 2016, proprio al termine dei fuochi d’artificio per la festa nazionale del 14 luglio.
Per alcuni aspetti, con tutte le debite proporzioni e le dovute cautele, i dibattimenti alla Corte d’assise del Palais de Justice ricorderanno i contorni delle questioni che si sono poste alla Corte del Tribunale penale federale di Bellinzona nel processo appena conclusosi a carico della 29enne che accoltellò due donne alla Manor di Lugano nel novembre di due anni fa: il dilemma che pone il rapporto, a volte estremamente problematico da decriptare, tra terrorismo e salute mentale, tra radicalizzazione religiosa e turbe psichiche, tra psicopatologia e violenza ideologica.
L’autore della strage di Nizza (così come gli otto accusati presenti in aula, non considerati complici, ma che dovranno rispondere di reati minori) non era radicalizzato. Solo negli ultimi giorni aveva iniziato ad ascoltare delle sure del Corano, visionato filmati di esecuzioni capitali e attentati jihadisti, letto sul web numerosi comunicati dell’Isis. Lo stesso Stato Islamico, a 36 ore dalla strage di Nizza, ne aveva rivendicato la matrice, ma come nel caso dell’attentato un mese prima al locale gay di Orlando da parte di un giovane americano d’origine afghana che fece 49 morti, gli inquirenti considerano si tratti di puro opportunismo. Che il profilo di Mohamed Lahouaiej-Bouhlel fosse più vicino a quello di uno psicopatico, una personalità disturbata perversa e sadica, che a quello di un militante islamista appare evidente dagli atti dell’inchiesta. La sua è una storia di violenza e disagio mentale: due tentativi di suicidio da adolescente, un tentativo di autocastrazione, violenze contro la moglie sulla quale dopo averla picchiata urinava, ripetuti problemi di alcol e violenza. Nella cabina del camion oltre a una pistola semiautomatica con cui aveva aperto il fuoco, quattro fucili e granate di plastica sui quali non si riescono a fornire spiegazioni. "Non era né credente, né praticante e mangiava carne di maiale" ricordano i conoscenti.
Si può dunque considerare Bouhlel un lupo solitario "soldato del Califfato", convertitosi all’ultimo minuto nel suo odio anti-occidentale, come pretende l’Isis? È molto probabile che i tre mesi e mezzo del mega processo (865 persone costituitesi parte civile, oltre 250 testimoni) non forniranno una risposta definitiva. Anche perché l’estremismo islamista ben si concilia con quelle turbe mentali nelle quali l’individuo disadattato cerca al tempo stesso una radicale sedizione contro l’ordine costituito, e un nuovo ordine superiore nel quale possa trovare conforto. È questa una delle maggiori insidie del terrorismo religioso.