‘Meno Stato, più aiuti’: sarebbe questa la strategia dell’Aiti per affrontare la contingenza tutt’altro che favorevole per l’economia
Meno Stato, più aiuti. Meno Stato, più aiuti. Meno Stato, più aiuti. Bisogna ripeterselo almeno tre volte per essere certi di aver capito bene quella che sembra essere la strategia che intendono adottare gli industriali ticinesi di fronte a una contingenza tutt’altro che favorevole per l’economia.
Visto che "le condizioni quadro per fare impresa non sono più del tutto soddisfacenti – così dichiarava il presidente dell’Aiti Oliviero Pesenti a inizio maggio, mentre confermava il suo sostegno al Decreto Morisoli insieme alle altre principali associazioni economiche del Cantone –, e tenuto conto della necessità di attuare delle scelte di fondo che riguardano non solo l’economia, ma anche la politica, una prerogativa essenziale è quella di avere finanze sane". Una conferenza stampa ‘austerista’ in cui a vincere il tapiro d’oro è stato Alberto Petruzzella, presidente dell’Associazione bancaria ticinese: per giustificare la sua adesione al vincolo legislativo che costringe lo Stato a raggiungere il pareggio del conto economico entro la fine del 2025, ha assicurato che il decreto "contiene un principio sacrosanto. Tutti noi siamo stati abituati a spendere i soldi che abbiamo in tasca, non quelli che non abbiamo". Detta dal numero uno dei banchieri sembra una barzelletta, ma non fa ridere.
Quattro settimane dopo invece, e siamo a inizio giugno, lo stesso presidente dell’Aiti, durante l’assemblea dell’associazione svoltasi a Lugano davanti a una folta platea di capitani dell’industria, non ci ha girato intorno: "Chiediamo al Consiglio federale, ma anche al Consiglio di Stato di predisporsi per fronteggiare un’eventuale nuova ondata pandemica e le conseguenze della guerra in Ucraina. Qualora l’attuale situazione non dovesse migliorare o peggio, si aggravasse, sarà necessario, e lo diciamo sin da ora, agire rapidamente con il diritto di urgenza già usato dal governo federale, per entrare in materia di un nuovo round di aiuti". Altrimenti? "Altrimenti la conseguenza in termini di perdita di posti di lavoro potrebbe essere molto dolorosa" (sic).
Se ora volgiamo lo sguardo al prossimo inverno con gli occhi dei comuni mortali, lo scenario è davvero preoccupante: ai salariati attende la stangata sui premi di cassa malati, un pesante rincaro della bolletta dell’elettricità e l’incremento dei costi delle spese accessorie in casa (in particolare il riscaldamento). Inoltre il litro di benzina resta abbondantemente sopra i due franchi e i prezzi degli alimenti sono in salita. Tenuto conto del contesto, definire poco opportuno l’avvertimento dell’Aiti è davvero un eufemismo.
È curioso: quando si va a chiedere agli economisti perché l’inflazione ha ricominciato a correre (in Svizzera un po’ meno che altrove, ma la progressiva erosione del potere di acquisto dei salariati è un dato di fatto anche da noi), la maggior parte tira fuori dal cassetto Milton Friedman: è tutta colpa delle banche centrali "progressiste" che hanno immesso troppa liquidità nel sistema, perché l’inflazione – sostengono – "è sempre e ovunque un fenomeno monetario". Un’affermazione miope che omette il fatto che l’inflazione è in realtà un fenomeno multi-causale, che riguarda soprattutto il conflitto sociale per la ridistribuzione della ricchezza. Un’ipocrisia paragonabile a quella di chi, messo un po’ alle strette, va a tirare per la giacchetta lo Stato dopo aver contribuito a legargli le mani.