Gli industriali lanciano l’allarme: ‘Dopo la pandemia, la guerra: situazione difficile per chi fa impresa’. E sulla transizione ecologica: ‘Noi ci siamo’
«L’industria non è un settore che corre con il cappello in mano verso le istituzioni, ma ci troviamo in una situazione eccezionale e crediamo che se le difficoltà che stiamo vivendo si protrarranno nei prossimi mesi, lo Stato dovrà prendere una decisione su un eventuale secondo round di aiuti». Non ci gira attorno il presidente dell’Associazione delle industrie ticinesi (Aiti) Oliviero Pesenti davanti all’assemblea convocata a Lugano: «Chiediamo al Consiglio federale ma anche al Consiglio di Stato ticinese di predisporsi per fronteggiare un’eventuale nuova ondata pandemica e le conseguenze della guerra in Ucraina per la nostra economia».
Le preoccupazioni degli industriali stanno per raggiungere il livello di guardia, dal momento che, certo, «il governo a diversi livelli ha dato una mano importante all’economia», ma ora «ci troviamo in una fase post-pandemica che appare essere ancora più pericolosa, perché mette sul tavolo numerose e intersecate incertezze». Le difficoltà sono note: «Esplosione dei prezzi dell’energia, mancanza di materie prime e materiale per produrre, impossibilità di definire i prezzi alla fornitura e alla vendita con sufficiente anticipo, difficoltà logistiche e di trasporto», sottolinea Pesenti. Che giudica questa situazione, potenzialmente, foriera di maggiori pericoli rispetto alla crisi pandemica «perché le difficoltà sono accompagnate da mutamente geopolitici di lungo termine che non potranno non avere conseguenze per gli scambi commerciali internazionali». Insomma, «qualora l’attuale situazione non migliorasse o, peggio, si aggravasse sarà necessario, e lo diciamo sin da ora, agire rapidamente con il diritto d’urgenza già usato dal governo federale, per entrare in materia di un nuovo round di aiuti. Altrimenti, la conseguenza in termini di perdita di posti di lavoro potrebbe essere molto dolorosa».
La «tragedia ucraina» dopo la crisi sanitaria per il presidente di Aiti «rivela le preoccupanti dipendenze dei Paesi europei e la fragilità delle loro catene di approvvigionamento. La sovranità industriale ed energetica è più che mai al centro delle preoccupazioni e ha fatto un forte ingresso nel dibattito pubblico». Soluzioni? «La reindustrializzazione del nostro Cantone è parte della risposta – dice Pesenti –. Più industrie generano più ricerca e innovazione nel nostro territorio, più autonomia, meno impatto ambientale, più valore aggiunto e più esportazioni». Per questo motivo, «affinché il Ticino torni a essere terra di fabbriche, dobbiamo agire in due direzioni: promuovere le carriere offerte dal settore ai giovani e alle donne di ogni ceto sociale e ripristinare l’avventura collettiva che è sempre stata l’industria». Perché «recuperare e incrementare la presenza femminile nelle aziende si lega inevitabilmente alla possibilità per loro di poter conciliare gli impegni professionali con quelli familiari e disporre di concreti percorsi di valorizzazione che permettano alle donne di acquisire funzioni, responsabilità, spazio decisionale».
Un altro tema di forte attualità e sul quale Pesenti pone l’accento è quello della transizione ecologica, che però «non avverrà distruggendo il progresso economico e sociale derivante dalla crescita. È un peccato vedere nel dibattito pubblico fiorire proposte anti-economiche, anti-business e anti-libertà individuale che perpetuano il mito che le soluzioni semplicistiche sono la risposta a questioni complesse, quando i nostri concorrenti europei fanno il contrario». Insomma, «siamo lontani dal tradurre in realtà una vera strategia», e soprattutto: «Come possiamo costruire una mobilitazione collettiva intorno alla questione climatica se designiamo i fornitori di soluzioni come capri espiatori?», chiede e si chiede retoricamente il presidente degli industriali.
Perché Pesenti parte dal fatto che «siamo pronti a svolgere appieno il nostro ruolo» e di fronte all’urgenza «siamo pronti ad accelerare lo sviluppo di soluzioni industriali che soddisfino le aspettative ambientali». Quello della transizione ecologica è un successo che «si basa sui progressi della ricerca scientifica e dell’innovazione, ed è anche l’industria che investe diversi milioni di franchi l’anno per ridurre ulteriormente le emissioni di gas serra dalle sue fabbriche».
Infine, e non potrebbe essere altrimenti, Pesenti ricorda il Piano strategico ‘Ticino 2032’ recentemente presentato da Aiti e composto da sei leve strategiche: «Formazione scolastica, professionale e accademica; creazione e sviluppo di un ecosistema dell’innovazione; cultura d’impresa; fiscalità e competitività del territorio; responsabilità sociale e ambientale delle imprese e inclusione; mercato del lavoro». Con un avviso: «Non siamo i detentori della verità». Ma il Piano «contiene diverse misure operative e tante proposte e azione che vanno approfondite, insieme. Non si tratta di un esercizio fine a sé stesso: deve trattarsi di un lavoro comune, di un patto di Paese».