‘Non si può mai dire niente’ è il nuovo ‘non sono razzista, ma...’. Ci prova anche Ueli Maurer, strizzando l’occhio ai No Vax
“Ci sono cose che non si possono più dire ad alta voce in questo Paese, altrimenti si viene subito messi all’angolo”. Also sprach Ueli Maurer, consigliere federale tra i più influenti, alla Weltwoche, megafono di quell’Udc primo partito in Svizzera, sostenuto a sua volta da una potente rete finanziaria e industriale. Insomma, la prima persona che ti viene in mente quando pensi a un emarginato messo a tacere dai ‘poteri forti’.
La cosa fa ridere, ma non stupisce: “Non si può più dire niente” è il nuovo “non sono razzista, ma…”, una formuletta retorica per introdurre la consueta miscela di vittimismo, intemerate contro il politically correct e sciocchezze assortite. Ma quello di Maurer è anche ciò che gli inglesi chiamano ‘dog whistling’, un discorso modulato su frequenze fatte apposta per essere udite solo da certe orecchie, come succede con alcuni fischietti. Quando dallo stesso pulpito dichiara che “il pericolo più grande della crisi che viviamo è che la libertà di espressione è limitata”, neppure lui si aspetta che a prenderlo sul serio sia chi tiene occhi e timpani ben collegati al pensiero logico-razionale: dopotutto si sta esprimendo liberamente, lo fa da membro di un esecutivo cruciale nella gestione della crisi e parla a un Paese che ha appena potuto votare sulle misure d’emergenza. Il fischietto suona insomma per altri: quelli che “nel vaccino chissà cosa ci mettono”, chi si è convinto che la legge Covid sia una prova tecnica di dittatura, o più semplicemente chi non accetta che la propria libertà – anche quella di ammalarsi – finisca dove inizia quella altrui. Gli stessi personaggi dei quali il consigliere federale aveva catturato l’attenzione indossando quest’estate la maglietta dei Freiheitstrychler, buontemponi un po’ rintronati a forza di scampanare contro le norme di politica sanitaria.
Certo, colpisce che a denunciare le presunte intimidazioni contro il libero pensiero, a invocare “una cultura aperta alla discussione” sia un partito che usa da sempre le parole come manganelli e raffigura il diverso come un verme o una pecora nera, mentre prima del Covid Pass faceva della turgida imposizione di qualsiasi legge il ritornello per le sue marcette ideologiche. L’Udc si trova così in una posizione un po’ paradossale: a forza di applicare la solita strategia – schierarsi strumentalmente contro gli altri partiti pur di raccattare consensi – si è scaraventata in mezzo a un impresentabile fronte pseudolibertario e antiscientifico, indigesto anche a quella parte del suo elettorato che mette davanti a tutto la sicurezza e l’ordine. Perfino i più restii si sono dovuti allineare al diktat del grande capo Christoph Blocher, a costo di rovesciare di segno le loro stesse dichiarazioni. Nel frattempo rifanno capolino i misirizzi più spregiudicati, disposti a qualsiasi provocazione pur di ottenere consensi e visibilità: quelli che parlano di “siero magico”, denunciano fantasmagoriche censure e seminano dubbi sugli effetti del vaccino, spesso in preda all’ecolalia da social.
L’effetto complessivo è un po’ l’opposto dei ‘4 minuti, 33 secondi’ di John Cage, la composizione che chiede ai musicisti di eseguire il silenzio assoluto. Ora proprio il silenzio – “imposto” da chissà quale perverso complotto – è diventato lo spauracchio per ansare a perdifiato in tutti i tromboni. Fortuna che “non si può più dire niente”.