La concorrenza fiscale intercantonale è un dato di fatto. Ciò che pare sfuggire al Plrt è che nel mondo post Covid il vento sta girando da un'altra parte
Le riforme che riducono le imposte ai più ricchi non hanno nessun effetto significativo sulla crescita economica di un Paese. È questa la tesi principale dello studio ‘The economic consequences of major Tax Cuts for the rich’, condotto dalla London School of Economics.
È molto probabile che i granconsiglieri del Partito liberale radicale ticinese (Plrt) non abbiano ancora letto lo studio britannico pubblicato nel dicembre 2020. Oppure se l’hanno fatto, hanno deciso di ignorarlo. Poco importa. Sta di fatto che la squadra guidata da Alessandro Speziali è giunta alla conclusione che era questo il momento opportuno per presentare una proposta di riduzione dell’aliquota massima dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Un’iniziativa che mira a sgravare in due tappe i redditi più alti, portando l’aliquota dal 15 al 13 per cento nel 2024, per poi attestarsi all’11,5 a partire dal 2026. Lo scopo, stando ai liberali, è mantenere l’attrattività del Ticino agli occhi dei grandi contribuenti.
Da un lato hanno ragione, la concorrenza fiscale intercantonale è un dato di fatto. Ma quello che pare essere sfuggito al Plrt è che nel mondo post-Covid il vento sta girando da un’altra parte (Biden e la global tax del 15% insegnano). Non sarebbe affatto strano che più presto che tardi anche in Svizzera si riapra il dibattito sulla corsa al ribasso attuata dai Cantoni in materia di tassazione.
Nel frattempo gli specialisti del Centro di competenze tributarie della Supsi hanno stimato in circa 30 milioni di franchi il costo del pacchetto presentato ieri. Una possibile compensazione per il fisco potrebbe arrivare dall’aumento del moltiplicatore cantonale d’imposta, tramite una decisione del Gran Consiglio di abrogare la riduzione di quattro punti decisa in precedenza. Una mossa che il popolare democratico Maurizio Agustoni non ha esitato a definire “paradossale”, in quanto implicherebbe “che il ceto medio debba pagare più imposte per finanziare il sostanzioso sgravio al 2,7% più ricco della popolazione”. A sinistra invece il no alla proposta di sgravi è netto: si tratta, secondo Ivo Durisch, capogruppo socialista, di “un’iniziativa ingiusta, ingiustificata e inopportuna”.
Che poi sia il partito del consigliere di Stato Christian Vitta a farsi avanti con un atto parlamentare di questo tipo non può che farci riflettere. Quanto è coinvolto il direttore del Dfe nell’allestimento di questo progetto? E poi: come mai si è tutt’a un tratto disposti a rinunciare a una trentina di milioni di gettito quando, è noto, la casse dello Stato sono ancora sofferenti a causa della pandemia? Non eravamo tutti preoccupati per il deficit pubblico (intorno ai 160 milioni)? Che cosa è cambiato?
‘L’umanità è più importante dei nostri soldi. Per favore, tassateci, tassateci, tassateci”. Era l’appello dei ‘Millionaires for the Humanity’. Miliardari di tutto il mondo che chiedono alle autorità di aumentare le loro imposte per “riequilibrare il mondo prima che sia troppo tardi”. Si riferivano tra l’altro alla pandemia come un’opportunità, una circostanza che ha messo in evidenza come certi problemi non possano essere risolti né con la beneficenza, né tantomeno con l’obsoleta teoria del ‘trickle down’ (sgocciolamento).
Certo che oggi la cosiddetta ‘offensiva liberale’ sembra andare controcorrente.