L’introduzione di un’imposta minima del 15% attenuerebbe la concorrenza fiscale intercantonale, ma urge taglio alle aliquote per le persone fisiche
Da tempo ormai si è formato un giudizio unanime, secondo il quale le società multinazionali riescono a evitare un’imposizione fiscale equa sugli utili conseguiti. L’Ocse e il G20 hanno quindi trovato un’intesa per attenuare i privilegi di cui beneficiano le società multinazionali, con un ricavo annuo superiore ai 750 milioni di euro, introducendo una tassazione minima a livello mondiale del 15%. Questo significa che se uno Stato in cui ha sede la casa madre prevedesse un’aliquota inferiore al 15% (ad esempio l’Irlanda con il 12,5%), l’altro Stato dove è presente una società dello stesso gruppo (ad esempio la Francia) avrebbe il diritto di prelevare la differenza tra l’imposta minima del 15% e quella prelevata dall’altro Stato (nel caso una differenza del 2,5%).
Sebbene questa decisione non implichi un obbligo per tutti gli Stati, la Svizzera ha aderito, o meglio ha dovuto aderire, per non concedere un vantaggio fiscale agli altri Stati.
In Svizzera, quando il prelievo in alcuni Cantoni è inferiore alla soglia minima del 15%, sulla differenza tra l’imposta minima del 15% e l’imposta complessiva prelevata dal Cantone, dal Comune e dalla Confederazione, verrebbe prelevata una (nuova) imposta integrativa da parte della Confederazione. Se consideriamo ad esempio un’imposizione fiscale complessiva a Zugo del 12%, la Confederazione preleverà il 3% a carico della società multinazionale, sempre che la norma costituzionale venga accolta in votazione popolare, a titolo di imposta federale. E qui nasce il problema della ripartizione di questa imposta integrativa tra la Confederazione e il Cantone. La norma costituzionale prevede che l’imposta integrativa sarà attribuita per tre quarti al Cantone e un quarto alla Confederazione. Con questa ripartizione del gettito non tutte le forze politiche sono d’accordo. Una voce importante è dell’avviso che il gettito debba essere ripartito come già avviene oggi ai fini dell’imposta federale diretta, vale a dire il 78,8% alla Confederazione e il 21,2% ai Cantoni; altre voci propongono invece di attribuire integralmente alla Confederazione il gettito derivante dall’imposta integrativa.
L’inserimento di un’aliquota minima nella Costituzione federale pone dei problemi con il principio della parità di trattamento. Infatti, tutte le altre società che non sono considerate multinazionali continueranno a essere imposte anche al di sotto del 15%, a dipendenza del Cantone di sede. Nei loro confronti non sarà quindi applicata l’imposta integrativa.
L’introduzione di un’imposta minima del 15% in tutti i Cantoni avrà l’effetto di attenuare la concorrenza fiscale intercantonale per le società multinazionali. Il Canton Ticino ne uscirebbe bene, poiché senza dover modificare la sua aliquota applicabile alle persone giuridiche, migliorerà la propria posizione fiscale nel contesto intercantonale. Così non sarà per i dirigenti che, di fatto, decidono in quale Cantone insediare le società multinazionali. Questo perché le aliquote applicabili alle persone fisiche variano da Cantone a Cantone, e anche di molto (basti pensare che a Zugo l’aliquota massima è del 22%, mentre in Ticino del 40%). Qui il Ticino è messo molto male, poiché si trova in fondo alla classifica intercantonale riferita agli alti redditi delle persone fisiche. Non ci sarà quindi nessuna o scarsa attrattività fiscale per il Ticino quale luogo di insediamento di importanti società multinazionali. Si rileva, infatti, che le aliquote fiscali applicabili ai redditi delle persone fisiche risalgono ancora alla legge tributaria del 1976. In questo lasso di tempo gli altri Cantoni hanno ridotto le aliquote, mentre il Ticino è rimasto al palo. La riforma delle aliquote per gli alti redditi, considerando l’introduzione di un’aliquota minima del 15% e il riflesso sull’imposizione dei manager, è quindi più che mai necessaria.