L'intervento di sabato scorso – avallato dal Municipio e coordinato dalla polizia cantonale – mette in discussione lo Stato diritto e il 'contratto sociale'
Anche qualora la versione di uno sgombero e successiva demolizione dell’ex Macello organizzati, decisi ed eseguiti soltanto all’ultimo momento fosse veritiera – col Municipio che dà il nullaosta a un piano della polizia di cui non era a conoscenza preventivamente –, la questione resterebbe gravissima dal punto di vista istituzionale. Nella migliore delle ipotesi saremmo di fronte a un esecutivo cittadino che si è fatto letteralmente “prendere per il naso” dalla polizia in un momento di alta tensione, e cioè dopo l’occupazione da parte del corteo dei molinari dello stabile ex Vanoni.
C’è poi l’altra ipotesi, quella peggiore. Quella per cui le autorità non ce la stanno raccontando giusta. Un sospetto rafforzato tra l’altro dalle rivelazioni fornite dal sindacato Unia, corroborate a loro volta da documenti ai quali laRegione ha avuto accesso: almeno una delle tre ditte coinvolte nei lavori di demolizione in riva al Cassarate è stata preavvisata telefonicamente dell’intervento alle 17.50 di sabato scorso dalla Polcom luganese, ovvero quasi un’ora prima che avvenisse l’occupazione in via Simen. Più precisamente attraverso una chiamata effettuata dal vicecomandante del Corpo. La polizia di Lugano ha immediatamente smentito quanto rivelato da Unia, forse ignara del fatto che vi fosse un’e-mail che darebbe conferma del preavviso.
A essere stata chiamata poco prima delle 18.00 di sabato scorso, tra l’altro, sarebbe stata la ditta che si è occupata della messa in sicurezza del sedime a demolizione avvenuta, intervenuta sul posto soltanto domenica. Quindi, l’ultima della catena.
C’è di più: vi sono diversi indizi che permettono di ipotizzare che la polizia e il Municipio fossero già al corrente dell’intenzione dei manifestanti di svolgere un’azione dimostrativa all’ex Vanoni. L’occupazione non è stata un’azione spontanea, decisa e attuata all’improvviso dal corteo: tra i molinari sono circolati dei volantini già da sabato mattina in cui si accennava all’idea di una T.A.Z. (zona temporaneamente autonoma) nello stabile di via Simen. Polizia e Municipio hanno quindi valutato l’opportunità di ‘lasciare fare’ ai manifestanti? Altra domanda legittima per ora senza risposta.
Al di là delle speculazioni, sulle quali saranno le inchieste in corso a fare luce, il problema di fondo rimane: a un certo punto c’è stata la decisione politica di radere al suolo, nottetempo, l’ala dell’ex Macello che ospitava il centro sociale. Un gesto di una violenza istituzionale inaudita alle nostre latitudini, che appare tuttora sproporzionato rispetto ai presunti rischi invocati dalla municipale Karin Valenzano Rossi.
Sia chiaro: la questione va ben oltre il dibattito intorno all’opportunità o meno di avere uno spazio autogestito in città. L’intervento di sgombero e demolizione – avallato dal Municipio e coordinato dalla Polizia cantonale, dal cui responsabile politico, il direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, si attende ancora una presa di posizione – mette in discussione lo Stato di diritto e il medesimo ‘contratto sociale’, quello attraverso il quale la cittadinanza concede ai governanti la facoltà di fare uso della forza, ma solo ed esclusivamente quale ultima (ultimissima) ratio.
Sabato notte le ruspe non hanno insomma abbattuto soltanto uno stabile: hanno colpito le fondamenta del rapporto di fiducia tra popolazione e istituzioni.