Se non ti vanno bene nemmeno il medico di Lampedusa e una verifica di geografia, almeno non straparlare di ‘faziosità’
Ancora più pericoloso del riflesso pavloviano dei liberisti – “tagliamo le tasse”, quale che sia il problema – è quello che muove i leghisti ogniqualvolta risuonino, come il campanellino dei monatti manzoniani, parole come “migranti” o “stranieri”. La reazione, in questo caso, è riassumibile in un adagio di forbita derivazione oxfordiana: “föö d’i ball”.
Nelle ultime settimane se n’è avuto un paio di esempi. Il più recente, con l’intervista di Pietro Bartolo alla Rsi. Il ‘medico di Lampedusa’ – che si è fatto quasi trent’anni a soccorrere chi scende dai barconi – ha avuto la sfrontatezza di raccontare quello che ha visto: i sacchi coi corpi dei bambini “vestiti a festa”, nell’illusione che arrivare in Europa sarebbe stata una domenica della vita; il mestieraccio che dev’essere scendere sottocoperta e dover “camminare sui cadaveri”. Invitata per parlare d’altro, la consigliera nazionale leghista Roberta Pantani ha comunque sbottato: “ce l’ho proprio qui sul gozzo” – si noti la somatizzazione, tipica del riflesso condizionato –, “dopo 18 minuti di intervista a un europarlamentare Pd che oltretutto alle Europee è arrivato secondo, mi aspetto che la settimana prossima si dia lo stesso tempo a un europarlamentare leghista. Perché sennò, altro che faziosità. Poi vi lamentate che sul ‘Mattino’ siete definiti faziosi!”.
Avrebbe anche potuto ragionare un attimo, Pantani. Magari tirare fuori una di quelle argomentazioni che vanno per la maggiore fra i salviniani, che ne so: se chiudiamo i porti non partono più, così non muoiono. È una sciocchezza smentita da tutte le statistiche, d’accordo, ma almeno avrebbe introdotto nella discussione una parvenza di razionalità. Invece no. Di fronte a un medico che ha visto coi suoi occhi migliaia di persone annegate, il “gozzo” ha preso il sopravvento, e le è parso opportuno invocare senza pensarci una presunta par condicio. Senza cogliere nemmeno lontanamente il fatto che quei bambini morti venivano così calpestati una seconda volta.
Qualcosa di simile si era verificato la settimana prima, quando un insegnante di geografia alle medie aveva avuto l’infausta idea di chiedere in una verifica: “Abbiamo visto in classe che gli stranieri sono importanti per la popolazione del Cantone Ticino, perché?”. A prescindere dal contesto pedagogico che precedeva la domanda, in tempi meno grami la premessa del quesito sarebbe stata data per scontata: con tutto che gli stranieri non sono tutti buoni e bravi – nessuno di noi lo è – basterebbe ricordare i ‘bergum’ sugli alpi, i minatori del Gottardo e dell’AlpTransit, i frontalieri grazie ai quali il Pil del Ticino negli ultimi anni è cresciuto più di quello di Zurigo. E naturalmente non serve un esame del Dna per capire che i confini sono più in testa che altrove, in un cantone così piccolo. Ma mi pare già di insultare la ragionevolezza del lettore, con tali banalità.
Comunque, la domanda è diventata di dominio pubblico perché un genitore l’ha postata sui social network, corredata dalla risposta della figlia. Non mi soffermo su quest’ultima, perché non è giusto che paghi il prezzo dell’altrui avventatezza: si è trovata scaraventata in una cagnara più grande di lei – in forma anonima, per fortuna – e a quell’età, qualunque cosa tu scriva, certe cose non te le meriti. Altro discorso per l’augusto genitore; ma ormai gli utenti social più ingenui sono proprio gli adulti. Più grottesca è la reazione di quei politici che hanno subito accusato l’insegnante di “propaganda immigrazionista”. Questo il glossario vagamente fascistoide utilizzato da Massimiliano Robbiani, che peraltro siede nella Commissione formazione e cultura del Gran Consiglio (avete mai avuto uno zio cinico che vi diceva “non sarà leggendo libri che farai strada”? Ecco, appunto.). Il deputato, anch’egli pavlovianamente infuriato per la “scorretta, tendenziosa e politicamente schierata” domanda dell’insegnante, ha addirittura presentato un’interrogazione lampo al Decs, sollecitando un giudizio su metodi pedagogici così sobillatori. Supportato come al solito da Lorenzo Quadri, che ha subito predicato di “scuola rossa”, di “fregnacce multikulti” e “lavaggio del cervello”; e dallo psichiatra Udc Orlando Del Don, scagliatosi con clinica formazione reattiva contro la “manipolazione del pensiero, dello sviluppo psicologico e della personalità dei nostri ragazzi!”.
Ora, non è che io mi scandalizzi più di tanto per la pochezza assolutista con la quale si articolano certe opinioni, o sui toni utilizzati: chi è senza peccato, eccetera. Mi preoccupa semmai che il riflesso pavloviano diventi immediatamente punitivo, in una maniera del tutto incontrollata, amplificata poi da mille paginette e portalini: vedo la caviglia del ciclista, mordo. Al punto che contro chiunque voglia parlare di migranti s’invoca una sanzione, che si tratti di imporre a una tivù chi invitare o a un insegnante come formulare le sue domande. Il tutto senza curarsi neppure un secondo della schizofrenia fra il chiedere ad altri “imparzialità” e l’impugnare la cosa più parziale e univoca di questo mondo: la censura. Ne è cupo esempio l’intemerata di Mattia Melera, che sul ‘Mattino’ scrive: “I mezzi per agire a livello istituzionale ci sarebbero, a partire dall’auspicata imposizione di linee guida sulla neutralità di pensiero da imporre ai docenti”. Incurante del tono orwelliano della sua prosa, il giovane leghista non sa – o finge di non sapere – che la neutralità non è appannaggio dell’essere umano. Solo agli dèi (e ai morti) è data la perfetta equanimità, scevra di ogni passione, di ogni cicatrice, di ogni rancore e di ogni ignoranza. Scriveva Gaetano Salvemini: “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità”. Ma se a ogni campanello corrisponde un ululato – e poi un morso –, possiamo scordarci anche questo.