Il giovane Negasi estrae dalla tasca alcune pagine stropicciate e le legge ad alta voce.
Il giovane Negasi estrae dalla tasca alcune pagine stropicciate e le legge ad alta voce. Ci chiede di filmarlo mentre pronuncia in un buon italiano quelle frasi scritte da rifugiati come lui che parlano di centri d’asilo in Svizzera. Non è un libro, sono solo alcuni frammenti sparsi. Gli chiediamo di indicarci i passaggi che gli piacciono di più, e lui, che ricorda a memoria le pagine, ce li mostra. In quelle righe la parola che torna più volte è ‘casa’. Quale? Quella da dove è partito, in Eritrea, quella che un giorno spera di trovare qui, ma anche quella che lo accoglie ora. Lui ha 19 anni e da tre è lontano dal suo Paese, ora è ospite al centro cantonale per richiedenti l’asilo di Camorino, prima altre ‘case’, come quella di Peccia. Vuole che si sappia che nel bunker si sente soffocare, che gli mancano l’aria e una finestra per guardare fuori. Vuole che si sappia che in questi tre anni ha imparato bene la nostra lingua. Riprende a leggere con enfasi il testo, sembra stia recitando. Altri ragazzi come lui gli sono accanto, c’è chi non parla ancora l’italiano e lo guarda con ammirazione, chi semplicemente sorride. Lette alcune pagine si allontana dal gruppo. ‘È fatto così’, dice un altro, vedendo Negasi indossare le cuffie e ballare a piedi scalzi sull’erba accanto all’entrata in discesa che porta al bunker. Assieme a lui altri uomini incontrati fuori dal centro ci parlano delle difficoltà con cui sono confrontati in questo caldissimo periodo in quella loro ‘casa’. Le temperature nei dormitori, camerate da 16 letti, raggiungono i 32 gradi. È così caldo che in molti la notte non riescono a chiudere occhio e, come se non bastasse, a disturbare ulteriormente il sonno ci sono le cimici. Ci mostrano le punture degli insetti che hanno sulle gambe e sulle braccia, ridono e fanno a gara a chi ne ha di più. La Croce Rossa che gestisce il centro ha richiesto tre disinfestazioni, le prime due non hanno risolto il problema, e un’ultima è stata fatta ieri. Insomma, ci si sta adoperando per risolvere definitivamente la questione. C’è però un altro problema che sembra sia destinato a rimanere irrisolto: le elevate temperature all’interno del bunker. In questo caso non sembrano esserci molti margini di miglioramento dato che le normative della Protezione civile, proprietaria del centro, impediscono l’uso di impianti di climatizzazione. Da lasciare perplessi, come anche la mancanza di indicazioni sulla temperatura massima che limita l’agibilità di una struttura. Che poi forse è vero, non è necessaria una legge, basterebbe il buon senso. Buon senso e dignità, come quella chiesta da alcuni cittadini che negli scorsi giorni hanno denunciato, con un comunicato stampa diramato ai media, le condizioni del centro di Camorino. Calcando anche un po’ la mano, ma portando alla luce alcuni veri problemi. Nel periodo in cui sempre più vediamo alzare i toni per chiedere di chiudere porti e frontiere, vedere alzare la voce a favore dei rifugiati sembra un gesto controcorrente. Significa che ci stiamo abituando alle proteste di quelli che i centri per gli asilanti non li vogliono nel loro comune, ai commenti razzisti sui social che si susseguono a valanga ogni volta che si pubblicano notizie sui migranti? ‘Fa caldo nel bunker? Che se ne tornino a casa loro’. Leggere queste frasi infastidisce, ma non stupisce più. A sorprenderci sono invece le persone che si schierano dalla parte di quei rifugiati che nessuno vuole, chiedendo alle autorità interventi tempestivi e concreti per migliorare le condizioni dell’alloggio di chi è costretto a vivere nei bunker. A breve la delegazione consortile discuterà dell’impianto di aerazione...
L’auspicio è che le condizioni della struttura possano migliorare, divenendo per Negasi e tutti gli altri un po’ più ‘casa’.