C’è un uomo sulla cinquantina che viene da un paese non troppo lontano. La sua casa è la bicicletta carica di borse dove c’è di tutto: pentole, coperte, attrezzi. Vende fiori, ma più che venderli li offre: le persone gli fanno un’offerta libera. I fiori sono spessi legati con lo spago o coi nastri colorati dei pacchetti regalo. Quando è Natale si arrampica sulle piante a cogliere il vischio. Dorme dove capita, ogni tanto anche vicino al fiume, in una tenda. In città tutti lo conoscono, parecchie persone si fermano a parlare con lui, qualcuno gli offre un pasto, altri parole calde. Quando manca da troppo tempo qualcuno lo nota.
Lui ritorna e dice che Dio provvederà. In questi giorni alcune persone hanno pensato che qui non c’è posto per lui e per i suoi fiori recisi (narcisi, serenelle, fiori di campo) e ha reclamato in polizia denunciando questa presenza “illegale”.
Quello che fino a questo momento era una consuetudine e un tacito consenso, al di là delle regole ferree, ora sembra inaccettabile. La mitezza ha perso consistenza e alcuni sono saliti a bordo della nuvoletta dei principi superiori. L’uomo, visto così dall’alto, è diventato un puntino, quasi invisibile. Le domande sono queste: alle persone che hanno protestato piacciono i fiori? La gentilezza ha perso il diritto di cittadinanza appena dopo le elezioni comunali? Il reclamo di alcune persone ha un peso specifico maggiore della consuetudine del saluto che molte persone rivolgono a quest’uomo? Qualche negozio ha dovuto chiudere i battenti a causa della presenza di un “venditore” ambulante che offre scampoli di colore? La città sarà più abitabile se l’uomo partirà? Noteremo la sua eventuale assenza o non ce ne accorgeremo neanche?