La forte testimonianza di due ex adepti. Fino a chi per la dolorosa uscita dal contestato movimento religioso arriva a pensare a un gesto estremo
È una fitta rete capace di invischiare nel mondo quasi 9 milioni di consensi in oltre 117mila luoghi di culto sparsi in 239 Paesi (dati 2022). In Svizzera su circa 8 milioni e 700mila abitanti, i Testimoni di Geova sono 20’000 (uno ogni 450), 258 le congregazioni. Ne fanno parte singole persone e intere famiglie. Così in Ticino, dove sono attive diverse ‘antenne’. Un movimento religioso, obiettivamente controverso, capace di dividere l’opinione pubblica in percezioni e convinzioni: una fede come molte altre? Oppure confessione fra le più insidiose e discusse? Certo è che proprio recentemente uno studio del centro specializzato, infoSekta, ha allarmato sull’aumento del numero di suicidi fra gli ex adepti. Ciò per la stretta dipendenza che si vive all’interno di questa comunità, spesso – come confermano le due testimonianze che abbiamo raccolto – totalmente impermeabile al mondo esterno. Pensiamo solo, all’intransigente posizione di rifiuto nel sottoporsi a trasfusioni di sangue, all’opposizione al saluto di qualsiasi bandiera o emblema analogo, alla decisa obiezione al servizio militare e al diniego a partecipare a qualsiasi attività o a incarichi politici (come scrive Raymond Franz, autore di ‘Crisi di coscienza. Fedeltà a Dio o alla propria religione?)’.
«In sociologia le chiamano le istituzioni avide. Sembra un concetto astratto, ma sono realmente le dinamiche che si riscontrano in questi gruppi, fortemente inficianti nella vita delle persone». Quella di Mosè Bianchi è una lacerazione che gli è stata inferta alla nascita. Già i genitori erano Testimoni di Geova. Venire alla luce in quella casa ha significato nutrirsi di quello che era la loro ‘verità’: «La ferita è emotiva nel senso che bisogna giungere serenamente alla conclusione che si era convinti di un’immane vaccata. Perché in fondo, senza offendere nessuno, noi abbiamo creduto che uno zombie ebreo che dice di essere il figlio di sé stesso è venuto sulla Terra per redimerci dai peccati che ha commesso una donna, costruita dalla costola di un uomo fatto dalla polvere, che ha mangiato una mela perché glielo ha detto una biscia, ma se noi parliamo telepaticamente con lui avremo la vita eterna. Nel XXI secolo è difficile prenderla alla lettera... Come immagine retorica ci può stare, come ideologia tout court forse è un po’ eccessiva».
Con lui anche Giorgio (il vero nome è noto alla redazione) che sa bene cosa significhi ‘portare la Parola’ nelle case dei ticinesi: «Bibbia alla mano qualsiasi sia il tuo problema loro ti troveranno una ‘soluzione’ nelle Scritture. È stato questo l’aggancio anche per mia mamma. Si trovava in una fase di depressione quando qualcuno ha suonato alla sua porta e le ha messo davanti il Paradiso in Terra. Una bella cosa… questo è il miraggio». Ma il sogno di una vita serena si traduce in un ‘unguento salutare’ che si fa ‘colla’: «Quando ti poni delle domande, loro sono bravissimi a darti delle risposte, in fondo è un vero e proprio ‘lavaggio del cervello’».
È un viaggio a ritroso quello che facciamo insieme. L’inizio è la fine (ovvero l’uscita definitiva da quella che non hanno paura a definire setta), e la fine è un nuovo inizio, quello che hanno intrapreso da quando, svanito il ‘love bombing’, hanno avuto la forza di spezzare le catene che li tenevano inconsapevoli prigionieri: «Tutto prende avvio quando ci si ritrova in un momento difficile, si è vissuto un lutto per esempio, si è stati licenziati, siamo stati lasciati, e quindi si è chiamati a voler o a dover fare dei cambiamenti. Ci si sente parte di un mondo che non riconosciamo. Loro, diversamente fanno di te una persona speciale, ti fanno sapere che Dio ti ama, si presentano come una comunità estremamente accogliente, e incredibilmente affettuosa, fin quando si aderisce in modo completo all’ideologia» avverte Mosè.
Giorgio aveva invece fra i 9 e i 10 anni quando gli è stato imposto il cambio di credo: «All’inizio è tutto bello, avevo un sacco di nuovi amici, erano attività fondamentalmente sane, non violente e per un genitore è rassicurante. Ma vi erano anche minacce velate: “Se non ti comporti bene perderai la vita eterna e i tuoi genitori”. Ti ‘intortano’ e ti invitano a fare proseliti, a salvare la gente, questo è il tuo compito».
Ma come è iniziato tutto? «Ricordo mia mamma dirmi che sarebbe stato importante studiare la Bibbia. Battezzato, avevo fatto anche la Prima Comunione. Le campane erano qualcosa per cui mi piaceva andare a Messa… Entrare nei Testimoni di Geova ha significato un cambio di paradigma. Entri in un circolo dove non hai più tempo per fare altro. Il lato positivo può essere stato quello di aver imparato a parlare in pubblico, a improvvisare e l’applauso era motivante. Come all’inizio mi piaceva anche se non sempre era facile, andare per le case; un modo per imparare a far fronte alle opposizioni».
Si tratta per Mosè del punto di ‘non ritorno’: «Ti inculcano l’aspetto di essere gruppo e che ‘gli altri’ non ti meritano, così è facile attivare la fase di separazione, dalla tua famiglia, dai tuoi amici. Una spirale di isolamento che viaggia anche a ritroso, quando su questa dipendenza affettiva e di comunità premono per farti sentire in colpa, indegno, dipendente, laddove, secondo loro, li deludi. Così si rimane invischiati in una sorta di dissimmetria verticale tra chi detiene il potere, e la tua mente, e chi no». Senza dimenticare la costante violazione della privacy: «Il carico di interrogativi anche morbosi sulla tua vita sentimentale e intima è da voltastomaco. Senza parlare degli hobby contrastati, come per me la musica heavy metal – ci confessa Giorgio –. La consideravano satanica. Un’assurdità se pensiamo che una canzone dei Black Sabbath è stata utilizzata per la pubblicità di un suv! Con gli anni sono riuscito a riconoscere l’ignoranza delle persone che ti condannavano in quanto ribelle, che volevano amalgamarti anche attraverso un modo di vestire ‘controllato’. Passi per una... pecora? Ma è bello, ti dicevano, essere una pecora perché si fa parte del gregge di Dio. Bada bene però, non una pecora nera!».
Anche Erich Fromm, come ci fa notare Mosè, lo diceva in ‘Fuga dalla libertà’: «Le persone tendono a non voler prendere decisioni, e i Testimoni di Geova sono un’organizzazione perfetta in questo senso. Qualsiasi decisione etica, morale, viene presa dall’alto, e quindi la vita risulta più semplice e lineare. Per alcuni ciò può anche essere una stampella. Però rimane un’organizzazione che controlla ogni singolo ambito della vita di un adepto, questo è innegabile».
È in quella che è considerata una ‘pressione amorevole’, che affiorano i primi dubbi: «Col tempo alcuni interrogativi te li poni... – ammette Giorgio –. Se senti sempre lo stesso discorso, poi cominci a sentirlo tuo. Ed essendo ‘a posto’ con Dio, sei a posto con tutti. Peraltro i Testimoni di Geova ti inondano di riviste e libri. Ma è un altro dei sistemi di controllo: leggi quello, credi a quello e vedi solo quello! E se hai il coraggio di discuterlo vieni additato quale apostata. Così come non puoi mettere in discussione quelle che sono le direttive degli anziani». Decisioni che hanno influenzato tante persone e che sono state il motivo di persecuzioni e ‘condanne’.
È qui che si realizza lo strappo: «Uscendo ci si porta dietro sensi di colpa – è il lato più oscuro secondo Mosè –. Ancora oggi, dopo anni, pur diventato ateo, quando sto per addormentarmi mi chiedo se abbia recitato la preghiera... In me rimangono strascichi che faticano a scomparire, pur con un grande lavoro di debanking. Sono stato anche invitato a rientrare, ma se per loro la riadesione sarebbe stata un successo, per me si è trasformata in un’ulteriore presa di coscienza della loro volontà di censura, così ho dato un taglio netto. Ho un’esperienza del resto diretta piuttosto forte. Riguarda mio padre, malato di un tumore inguaribile. Per la non approvazione delle trasfusioni di sangue e delle staminali, che venivano fatte risalire ai feti, il consiglio degli anziani lo invitò a non sottoporsi a delle terapie. È morto prima che mi diplomassi e ho sempre il rimpianto di non aver potuto trascorrere con lui qualche anno in più. Anche perché, non molto tempo dopo la sua morte, un chiarimento del Corpo centrale affermava che queste cure erano una questione di coscienza, e chi avesse voluto avrebbe potuto sottoporvisi. È devastante, per chi le ha prese e per chi le ha subite, fare i conti con la mediocrità di quelle scelte».
Anche per Giorgio il dissesto psicologico comincia quando vi è la decisione di dissociarsi: «È stata dura… sai che tutti i testimoni di Geova non ti parleranno più, non ti saluteranno, persino i tuoi familiari!». Conseguenze che si fanno profonde: «Per liberarmi da alcuni automatismi, come bere un bicchiere in più, andare a un concerto, fare sesso, e non sentirmi in colpa, sono stati necessari dieci anni. Il mio lavoro mi ha aiutato. Ne sono uscito a 21 anni. Fino allora sono stato tirato come una corda da una parte e poi all’improvviso, come una molla, lanciato dall’altra! Perciò, ho provato tutto quello che non ho fatto prima... Ne sono uscito grazie a un forum su Internet. Quando ho visto che vi erano altri ex testimoni mi sono reso conto di non essere solo e mi sono scaricato di un peso enorme. Proprio il recente Natale, oppure le festività, riportano in superficie alcuni tristi ricordi. Guai a fare l’albero. Ancora oggi il segno della croce non lo riesco a fare, ma un passo avanti l’ho fatto: se entrare in una chiesa era una violenza, oggi ho maturato il mio pensiero e, dopo essermi sposato con rito religioso, mi godo i battesimi dei miei nipoti! Con mia madre è rimasto un rapporto di amore e odio, e fatico a perdonarla. Quando ne parliamo lei mi dice che quella era la verità! Ne è ancora convinta, mentre io lì ho perso tutto. Credo a ogni modo che nel nostro cervello portiamo i geni di tutta la nostra storia. Per cui tutto quello che è stato nel passato, fino al momento della nostra nascita, ne continuiamo ad avere una traccia. Sta a noi rompere il cerchio negativo. Il mio equilibrio l’ho ritrovato nella mia famiglia, che mi fa da bilancia, anche se non credo possano capire fino in fondo cosa ho vissuto. Tutto ciò mi ha creato una rabbia enorme. In passato facevo molta fatica a controllarmi, spaccavo tutto. Oggi sono ancora arrabbiato ma so gestire le mie emozioni. Altri sono rientrati perché non sono stati in grado di superare la condanna di ritrovarsi da soli».
Non si può dire, inoltre, che uscirne sia stato un percorso breve: «È diversamente lungo e complicato – non nasconde Mosè –. A livello professionale, in quanto collaboravo con tanti altri testimoni, ho perso il 60% del mio introito. Vi è una totale omertà e quando necessario anche una mancanza di collaborazione con l’autorità, pensiamo ai casi di pedofilia, e un chiaro modus operandi che li porta a costruire Sale del Regno in Paesi dove non vi sono ‘contenziosi’ e dove è facilmente possibile far traslare capitali».
Entriamo così nelle mire economiche: «La comunità è piuttosto ricca, soprattutto in alto. Le contribuzioni sono volontarie. Però il sistema è intelligente. Quando si costruisce una Sala del Regno tutta la manodopera è gratuita, è una forma di servizio, così come le richieste per mantenerla, che restano però alla chiesa. Ricordo di una villa acquistata negli anni 30 in America. Credevano che i profeti scendessero dal cielo e che sarebbero stati qui ospitati. Poi dopo essersi resi conto dell’ennesima previsione non andata a buon fine l’hanno venduta sotto traccia, ma nel frattempo lì qualcuno ci ha abitato... Non credo comunque che lo scopo unico di chi sta al potere sia la ricchezza, ma il potere stesso e il riconoscimento. Generalmente chi sale a livello gerarchico non è peraltro il più brillante, ma una sorta di kapò, un fanatico capace di ubbidire. È anche per questo che ci sono state persone che hanno preso decisioni abominevoli senza rendersene neppure conto».
Poi Mosè abbassa lo sguardo: «La ferita ti rimane nei modi di agire e di pensare. Se vieni abituato a credere che tutti coloro che sono ‘fuori’ sono sotto il potere del demonio è come essere cresciuti in un ambiente razzista e rendersi conto che l’ebreo e il nero non sono diversi da te. Ci vuole un’onestà intellettuale non indifferente per rendersi conto di quanto si è stati mediocri. A me è andata di fortuna. Ci sono nato, ci ho creduto, mediamente, me ne sono distaccato. Pensiamo ai gay: la loro è una presa di coscienza già non semplice da persona libera, pensiamo a chi sa che Dio li condannerà alla morte eterna... è devastante. E del concetto dell’autoerotismo negato? Come si può pensare che un adolescente non vada alla ricerca della sua sessualità? Si vive, infatti, in un costante senso di colpa, uscirne è un problema di percorso psicologico successivo. Continuo a pensare che mi sia stata preclusa infanzia e adolescenza. Non ho mai potuto giocare nella squadra di calcio, di hockey, non ho mai potuto fare una festa di compleanno, partecipare a una riunione della scuola, associarmi a uno sci club, e in una fase della vita che è fondamentale per un bambino e per un ragazzo nel relazionarsi con gli altri. A livello sociale resto un incompetente!».
Fortunatamente ha trovato la sua rivincita, pur sofferta: «Sono iscritto alla Supsi e ho creato una fondazione per case per persone in difficoltà nel Malcantone. Ma ho 44 anni. Se all’università fossi andato a 25, oggi quante persone avrei potuto aiutare? Con tre diplomi e forse un giorno la laurea, e con centinaia di libri letti (mi ha salvato anche la lettura), mi rendo conto pensando ai Testimoni quali povere persone, nel senso intellettuale, siano... ‘quando il sole della cultura è basso le ombre fanno sembrare giganti anche i nani!’».
Religione oppio del popolo piuttosto che gioia dell’anima e luce? «Nel Cattolicesimo vi è la passione di Gesù in croce. Perché noi nasciamo peccatori e dobbiamo soffrire per avere la gloria di Dio che comunque è immeritata. La religione non è proprio fatta per volersi bene. Nelle sette si attiva ancor più quello che è l’omeostasi del sistema che tende all’equilibrio, ciò che porta una persona fragile a non riconoscere il ‘nemico’ e a credere che sia lui sbagliato. Tendono a uniformare le persone, ad appiattirle, non si può brillare. È un po’ l’omologazione che c’era con il libretto rosso di Mao, quando i fascisti avevano le camice nere e i nazisti la svastica sul colletto» rimarca Mosè.
L’auspicio di Giorgio è, dunque, il superamento della sofferenza: «Si può sopravvivere, ma è necessario parlarne per evitare di affrontare le situazioni con i paraocchi. È come quando subisci un incidente e neghi che sia capitato perché il tuo cervello è andato in tilt… Pensiamo ai suicidi di massa di alcune sette, come è possibile? Oggi una risposta ce l’ho!».
Ci avviamo al presente, e lo facciamo con Mosè: «Se uno entra perché ha bisogno di una speranza, per quella speranza è disposto a rinunciare alla libertà. Io continuo ad aver voglia di vivere. Forse è anche un po’ un riscatto del tempo perso. In fondo la vita è spesso uno ‘sliding doors’. Dobbiamo un po’ uscire dall’accezione che siamo sempre fautori del nostro destino. Certo si può sempre riparare, ma fra un adulto cresciuto bene e un adulto ‘riparato’ resta una cicatrice. Molto di quello che sono, volente o nolente, dipende da quello che sono stato, che ho vissuto. Magari sarei un uomo meno entusiasta se non avessi avuto questa esperienza. Ma ne avrei fatto volentieri a meno. Il perché di un nome biblico? Mia madre ha avuto grandi fasi. Se fossi nato in quella mistico-indiana mi chiamerei Siddharta Bianchi, e forse sarebbe stato anche peggio».
Sulla delicatissima questione abbiamo posto alcune domande a Christian Rossi impegnato al ‘fronte’ con infoSekta, associazione e centro di consulenza, in merito a comunità di culto, definite settarie e controverse, riti e credenze cospiratorie, fondata nel 1990 e con sede a Zurigo.
Dal suo osservatorio vede aumentati negli anni i casi di persone uscite dai Testimoni?
Nel 2017, con l’aiuto di infoSekta, ho fondato un gruppo di sostegno per ex Testimoni di Geova. Da allora sempre più persone si sono rivolte a noi. Negli ultimi 7 anni ho conosciuto molti ex adepti di questo gruppo religioso, che purtroppo presenta molte caratteristiche settarie. Una di queste è l’ostracismo che le persone che lasciano l’organizzazione subiscono da parte di familiari, amici e conoscenti.
Fra gli ex adepti è riscontrabile uno sconcertante fil rouge, ovvero quello di sentirsi devastati nell’animo, fino a pensare, o aver pensato, addirittura di suicidarsi?
Non avendo una cerchia i conoscenti al di fuori (cosa che i “leader” di queste sette sconsigliano), molti dopo la fuoriuscita si ritrovano soli in un mondo che non conoscono o non comprendono appieno. Questo può causare molti problemi psichici. Senza aiuto professionale, c’è il rischio di cadere in depressione e arrivare perfino al suicidio.