Prendo spunto dalla Formichina rossa di giovedì 14 aprile, la quale giustamente se la prende con chi mette le mani avanti chiedendo ancora una volta che il 5 maggio non venga esposta in Ticino la "bandiera dell’Unione europea", confondendola con quella del Consiglio d’Europa, cui la Svizzera aderì oltre mezzo secolo fa (1963). Un vessillo appeso per 24 ore: sono davvero questi i problemi della gente che stanno così a cuore alla destra nostrana (e ignorante, poiché ignora la differenza tra Ue e Consiglio d’Europa)?
Da decenni ci sono Paesi che fanno la coda per entrare nell’Unione europea, molto probabilmente attratti soprattutto dai sostanziosi sussidi in partenza da Bruxelles. Parallelamente, e sempre da decenni, in Svizzera c’è una folta truppa che si dice pronta a tutto per difendere l’indipendenza CH con slogan del tipo "Padroni in casa nostra" e "No ai balivi di Strasburgo". Costoro non si sono accorti che ormai da tempo l’Ue ci impone di fatto parecchie decisioni, prese non certo a Berna: dall’ora legale – che nel secolo scorso abbiamo dapprima rifiutato in votazione popolare, salvo poi introdurla di sottecchi per evitare il caos in aeroporti, dogane e stazioni ferroviarie – all’obbligo dei passeggini per bebè sino ai 12 anni (sic), passando dai Tir da 25, 40, 1’000 tonnellate! Nel maggio 2019 i balivi di Bruxelles hanno addirittura violato un sancta sanctorum elvetico, quello sul possesso delle armi da fuoco: le loro indicazioni su un giro di vite a tiratori e potenziali pistoleros nostrani sono state accettate dal popolo elvetico con un chiaro verdetto, 64-36%.
Poi, per evitare di vedere la Svizzera esclusa da Erasmus e da altri programmi di ricerca scientifica, è sorta l’idea/necessità di raddoppiare il nostro "contributo di coesione" (già versato, mi pare, in un paio di occasioni) da uno a due miliardi di franchetti. Se penso che questa valanga di soldi finirà nell’Est europeo, in Paesi populisti e – vogliamo dirlo? – razzisti come la Polonia e l’Ungheria, l’idea mi fa letteralmente rabbrividire. Al di là di questo, tuttavia, mi chiedo: non faremmo meglio a entrare nell’Ue cuccandoci a nostra volta qualche sussidio (pecunia non olet, sebbene barbarus!), invece di metter mano al borsellino per evitare una catastrofica, definitiva Swiss Exit? Padroni in casa nostra – al di là di poter stabilire la lunghezza delle corna delle mucche, decretata in una votazione popolare che ha fatto ridere mezzo mondo – non lo siamo più, già da un pezzo. Non sarebbe meglio andare a Bruxelles e tornare col portafoglio pieno anziché sgonfio?