In quanto ex presidente della Società Svizzera di Pediatria ed ex primario del Servizio di neurologia pediatrica della Svizzera italiana mi sono occupato per venticinque anni della presa a carico di bambine e bambini che, a causa di uno sviluppo atipico, necessitano di terapie specifiche per poter seguire un programma scolastico nella scuola ordinaria.
La recente decisione, presa dalla maggioranza della commissione della Gestione e delle Finanze, di ridurre di due milioni il finanziamento necessario per far fronte ai bisogni particolari in ambito educativo è di quelle che lascia senza parole. Chi propone questi tagli dimostra non solo di avere scarse conoscenze in ambito pedagogico, ma non sembra rendersi conto delle ripercussioni che l’attuazione di questa misura recherebbe a un migliaio di allieve e allievi e alle loro rispettive famiglie.
I primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo: il cervello è in piena fase di maturazione e grazie alle connessioni di milioni di neuroni la sua ricezione agli stimoli è molto elevata. Gli anni che comprendono l’età prescolare e scolare sono cruciali per chi segue una terapia specifica e sono quelli che permettono di ottenere i migliori benefici. In termini terapeutici sono anni che valgono il quintuplo rispetto a quelli di un cervello maturo. Un esempio su tutti riguarda i bambini affetti dal disturbo dello spettro autistico: una presa a carico intensiva precoce permette a una parte di loro di acquisire le giuste competenze per affrontare un percorso scolastico regolare e un inserimento nel mondo del lavoro. L’apprendimento passa anche dall’imitazione: in termini di stimoli le classi inclusive sono delle risorse insostituibili e possono spesso incidere positivamente sul futuro di molti allievi e allieve con bisogni particolari. In termini di miglioramento della qualità di vita, i benefici che molti miei pazienti hanno avuto grazie all’inclusione nella scuola ordinaria non sono quantificabili. Non sono un economista, ma consiglierei a chi deve stilare la contabilità della scuola ticinese di considerare pure il futuro mancato inserimento nel mondo professionale degli allievi e delle allieve che questi tagli prendono di mira.
Una scuola inclusiva, per la quale mi sono sempre battuto, sa dare buoni risultati. In questo senso, il lavoro svolto nella scuola ticinese è stato preso da esempio anche in altri Cantoni. Sembra paradossale che oggi si proponga di tagliare là dove gli altri traggono ispirazione. L’inclusione non preclude in nessun modo la qualità dell’apprendimento della classe intera. Se ce ne fosse ancora bisogno, un recente studio dell’economista Simone Balestra sfata quel luogo comune (così difficile da estirpare) secondo il quale l’inclusione di alcuni si faccia a scapito di altri. Tra l’altro sono certo che un adolescente che si confronta con la disabilità sviluppa quel senso di altruismo ed empatia fondamentali per avere una società migliore. Certo, bisogna fornire al corpo insegnante le risorse e gli strumenti adeguati, ma la posta in gioco è troppo alta per non voler raccogliere la sfida.
Nei primi anni della mia carriera ho purtroppo ancora vissuto la realtà della segregazione dei bambini con bisogni specifici e la conseguente separazione dai loro coetanei. Questo sistema ha causato troppe inutili sofferenze ad allieve e allievi e ha lasciato le loro famiglie di fronte a un profondo senso di ingiustizia. Tagliare là dove nasce il futuro è una scelta miope e irresponsabile.