Ha fatto bene il presidente del Governo ticinese Christian Vitta ad alzare i toni sui sempre più insoddisfacenti rapporti con Berna. Il federalismo, pietra miliare del sistema politico svizzero, è messo alla prova ed è perciò importante evidenziarne le criticità (che sono tante nei confronti del nostro Cantone) e soprattutto individuarne i correttivi. A patto che non prevalgano vittimismo e rassegnazione, bensì obiettività, fatti concreti e credibilità.
Nella sua intervista l’onorevole Vitta solleva in particolare tre temi: la perequazione finanziaria intercantonale, la risposta ritenuta deludente a seguito degli eventi alluvionali in Vallemaggia e l’insoddisfazione sull’ulteriore riorganizzazione della Posta. Ci potrebbero essere, ovviamente, altri ambiti. Ad esempio la questione delle casse malati, quella dei rustici e dei territori fuori zona edificabile (trattati con ingiustificata intransigenza da Berna, quando invece occorrerebbe una politica proattiva volta a valorizzare il nostro patrimonio territoriale) e la malagestione della crescita esponenziale del lupo (che gambizza il settore dell’agricoltura di montagna). Il federalismo deve considerare e valorizzare adeguatamente le differenze e le peculiarità territoriali, non appiattirsi e svilire queste diversità. È giusto, perciò, occuparsi di queste tematiche con forza e determinazione, coinvolgendo – laddove necessario – gli altri Cantoni alpini e le rispettive deputazioni federali.
Per restare alle nostre latitudini, intravedo un parallelismo tra la situazione appena descritta e quanto sta avvenendo tra i Comuni ticinesi e il Cantone. Proprio in questi giorni, infatti, l’Associazione dei Comuni ticinesi lamenta “la sopravvivenza della base della piramide su cui si regge il nostro sistema democratico”, denunciando l’allontanamento tra i due livelli istituzionali e la lacunosa “sana e costruttiva reciprocità”. Anche qui, insomma, siamo confrontati con criticità al federalismo in salsa ticinese. Chi ne subirà le conseguenze? I cittadini.
Che i conti del Cantone vadano risanati è pacifico, nell’interesse di tutti. Ma senza la consapevolezza che occorra un vero dialogo (critico, trasparente e costruttivo) tra Cantone, Comuni e altri partner istituzionali, lo scontro è inevitabile. Le misure di risparmio o di trasferimento di oneri (ma anche di responsabilità, pure in termini di autonomia) devono essere condivise. Anche qui ci sarebbero diversi esempi da sollevare. Ne espongo due. Il primo è riferito al preventivo 2025: è lo stralcio, di competenza del Consiglio di Stato, del sussidio ai Comuni per i docenti di educazione fisica e musicale, deciso dal Governo senza il coinvolgimento degli Enti locali. Oltre all’impatto finanziario non indifferente, si tratta di una manovra che indebolisce la scuola e soprattutto i suoi allievi, che potrebbero essere privati di maestri specialistici in una fase importante della loro crescita. Il rischio, poi, è sempre il medesimo: ossia che a pagarne le conseguenze siano i cittadini dei Comuni più fragili finanziariamente, spesso quelli più periferici. Credo che ci siano i presupposti affinche il Governo ritorni sui suoi passi in questo ambito.
Un altro esempio che ha contribuito ad incrinare i rapporti tra i territori discosti e il Cantone sono le considerazioni dell’Onorevole Claudio Zali, secondo il quale il destino delle zone periferiche sia segnato. Bene hanno fatto i presidenti di Plrt e Centro, Alessandro Speziali e Fiorenzo Dadò, ad indignarsi nei confronti di queste affermazioni e a chiedere al Governo, attraverso un’interrogazione, se condivide questa visione pessimistica ed arrendevole.
Il federalismo è da attuare e promuovere giornalmente fra i diversi livelli istituzionali elvetici, a vantaggio di tutti: Confederazione, Cantoni e Comuni, ma soprattutto dei loro cittadini, che chiedono giustamente dignità e rispetto. Oggi, per diversi motivi, questo meccanismo scricchiola; è dovere di chi è al fronte politicamente, ad ogni livello, combattere questa tendenza controproducente e pericolosa.