Il presidente del governo sui problemi dell'asse tra Ticino e Consiglio federale: ‘Perequazione, Vallemaggia, Posta, Arti grafiche... invertire la rotta’
«La situazione di insoddisfazione nei rapporti con la Confederazione si sta moltiplicando su più ambiti, ed è nostra intenzione aumentare ulteriormente la pressione affinché qualcosa cambi». Il Ticino sente Berna sempre più lontana e il direttore del Dipartimento finanze ed economia nonché presidente del Consiglio di Stato Christian Vitta, a colloquio con ‘laRegione’, apre un libro con quattro capitoli di stretta attualità. Dei cahiers des doléances a tutti gli effetti.
Si comincia con la perequazione finanziaria intercantonale, tema annoso e che si protrae da tempo, ma sul quale Vitta è intenzionato a tenere alta la guardia: «Ci sono perlomeno due elementi sfavorevoli per il Ticino – spiega il direttore del Dfe –. Il primo è il riconoscimento geo-topografico con la conseguente compensazione degli oneri, che ci sfavorisce per il solo fatto di avere un’altezza media inferiore a Vallese o Grigioni, malgrado sappiamo che il nostro territorio è impervio quanto il loro, come abbiamo visto anche questa estate con la tragedia in Vallemaggia. Per un cambiamento concreto serve una modifica di legge e il Consiglio federale ha già annunciato che per questa legislatura non avverrà: fino al 2030 su questo fronte non cambierà nulla, mantenendo insoddisfacente la situazione per questo parametro». Il secondo aspetto che riguarda la perequazione è «la ponderazione degli introiti derivanti dai frontalieri, oggi valgono il 75% nella formula, ciò che è particolarmente sfavorevole per il Ticino dal momento che gli introiti sono considerati nel calcolo, ma a essere assente è il numero dei frontalieri che genera questo introito: in questo senso – illustra Vitta – il pro capite del Ticino aumenta in maniera importante e non ci viene dunque riconosciuto quello che riteniamo ci spetti». La richiesta alla Berna federale è quindi «la diminuzione di questo 75% di ponderazione, e nei prossimi mesi si continuerà a mantenere alta la pressione perché, al contrario del riconoscimento geo-topografico, la ponderazione del peso degli introiti dei frontalieri il Consiglio federale la può modificare tramite ordinanza. Considerando che un adeguamento dell’ordinanza avverrà nel 2025 un cambiamento, se vi è la volontà del Consiglio federale, può avvenire già il prossimo anno. In gioco ci sono diversi milioni di franchi di differenza». Volendo...
A non soddisfare in alcun modo come Berna considera il Ticino, continua il direttore del Dfe, «si aggiunge anche la risposta data dal Consiglio federale a seguito delle alluvioni e delle tragedie che questa estate hanno colpito la Vallemaggia e anche cantoni a noi vicini. È una risposta molto deludente – sottolinea Vitta –, che non risponde alle attese. Una risposta generica che di fatto limita l’intervento dell’autorità federale all’ordinario senza che si intraveda all’orizzonte un impegno accresciuto. Attualmente come Ticino stiamo facendo fronte a importanti spese di ricostruzione e le notizie che ci arrivano dall’autorità federale sono tutto fuorché incoraggianti. Di fronte a una situazione straordinaria ci si aspetterebbe pure un intervento straordinario. I segnali che ci giungono da Berna sono però quelli di voler seguire i parametri di legge previsti per situazioni ordinarie, mentre sappiamo tutti che quanto successo va ben oltre l’ordinario».
Rimanendo all’attualità, e oggetto anche di un recente incontro che il Consiglio di Stato ha avuto con i vertici della Posta, l’insoddisfazione del Ticino, conferma Vitta, «si allarga anche al parastato». E precisamente al Gigante giallo, «perché l’approccio che ha tenuto sulle trasformazioni degli uffici postali a livello comunicativo è stato molto insoddisfacente. La nostra aspettativa ora è che il dialogo con i Comuni sia di sostanza e non solo di forma, dove per sostanza intendiamo la ricerca di soluzioni concordate e laddove ritenuto giustificato anche la rinuncia ad alcuni progetti di trasformazione degli uffici postali».
Il Consiglio di Stato ha infine preso la palla al balzo e reagito proattivamente a quanto emerso alla tavola rotonda sulle arti grafiche e il settore della stampa in Ticino organizzata da Aiti nelle scorse settimane. Lo ha fatto scrivendo una lettera al Consiglio federale «nella quale abbiamo segnalato la situazione anomala che vive il nostro cantone in questo settore – rimarca Vitta –. Qualche decennio fa la percentuale del volume degli appalti che la Confederazione in questo settore destinava al Ticino era tra il 5 e il 6%. Nel tempo, gradualmente, questa percentuale è scesa e da qualche anno siamo attorno all’1-2%». Una situazione insoddisfacente, sulla quale Vitta approfondisce due questioni: «Da un lato la Confederazione raggruppa sempre più il volume delle commesse, ciò che porta ad attribuire sempre di più i concorsi pubblici alle grosse tipografie o aziende grafiche che si concentrano sull’asse Zurigo-Berna». Dall’altro lato, riprende Vitta, «questo fa sì che la percentuale dei lavori che arrivano nel nostro cantone diminuisca in maniera importante in un settore già particolarmente sotto pressione in Ticino per la vicinanza con l’Italia e che sta cercando di reagire con lo sviluppo di label di qualità che valorizzano le competenze e la produzione sul territorio». La lettera è partita per Berna nei giorni scorsi.
Vitta non si nasconde: «Stiamo vivendo una situazione difficile anche a livello nazionale. Sappiamo che le misure di risanamento della Confederazione toccheranno anche il Ticino e che, unitamente a un certo rallentamento economico, non faranno che accentuare il sentimento di lontananza dalla Berna federale». Ma davanti a tutto questo, «la cosa peggiore sarebbe penalizzare ulteriormente le zone più periferiche, perché così facendo si metterebbe a dura prova il federalismo». Insomma, «se queste zone, Ticino compreso, si sentissero ancora più lontane da Berna, crescerebbe la disaffezione da parte della popolazione e, in un sistema federalista come il nostro, sarebbe molto pericoloso». Per il direttore del Dfe, «senza risposte concrete a questi e altri problemi le tensioni fra il Ticino e Berna non faranno che crescere».
Ciò detto, che fare? Una volta elencati i problemi cosa può fare materialmente il governo ticinese? «In questa offensiva – risponde Vitta – bisogna continuare a tenere alta la pressione, con interventi regolari e continui, sui vari ambiti dove le cose non vanno. E sul fronte del rapporto con Berna evidentemente anche la Deputazione ticinese alle Camere federali dovrà continuare a svolgere il suo ruolo intensificando l’azione. I contatti sono già in atto da tempo e dobbiamo assieme ulteriormente tenere fermo il punto, perché non possiamo accontentarci di risposte che comprendono la nostra situazione, ma che non propongono dei cambiamenti». Inoltre, «laddove possibile dovremo trovare nuove alleanze con altri Cantoni che conoscono problematiche simili alle nostre e con il Consiglio federale avremo anche necessità di incontrarci, perché come detto la sola comprensione non ci basta più». Con un atteggiamento proattivo, rivendica Vitta. Nel senso che «non andiamo col cappello in mano, ma portiamo dati, analisi approfondite e proposte fondate. Chiaro, però, che dall’altra parte ci deve essere una concreta ricettività affinché il dialogo funzioni davvero». Già.