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Qualche interrogativo su ‘Storia delle religioni’

Da cinque anni allieve e allievi di quarta media del Ticino seguono obbligatoriamente un corso di “Storia delle religioni”. Fu infatti nel settembre 2019 che questa importante riforma scolastica divenne realtà, al termine di un percorso lungo e tormentato, iniziato nel 2002.

Ai primi cinque anni di insegnamento di questa nuova materia ordinaria la Società Demopedeutica ha dedicato nei giorni scorsi un incontro pubblico. La relazione del prof. Alberto Palese, esperto della materia, ampia e articolata, ha proposto un bilancio puntuale dell’esperienza acquisita. Nondimeno restano alcune questioni aperte che per la loro rilevanza meritano una discussione pubblica.

La questione più importante riguarda l’identità della materia. È doveroso sottolineare che non dovrebbe trattarsi di un insegnamento into religion (come si dice in inglese), ovvero nella religione; semmai dev’essere about religions, cioè sulle religioni. La Legge della scuola lo dice chiaramente: è un insegnamento “neutrale e non confessionale”. Tale dev’essere conformemente a quanto stabilito dalla Costituzione federale (“nessuno può essere costretto a seguire un insegnamento religioso”).

L’attuale “impostazione generale” del corso suscita però qualche interrogativo. Il corso mette a tema diversi aspetti della religione (la ritualità, il simbolismo eccetera) con un approccio interno ai fenomeni, quasi si volesse tematizzare “il religioso”. Anche nel “Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese” se ne trova conferma. Lo si vede ad esempio nella formulazione degli obiettivi fondamentali dell’insegnamento, a cominciare da quello che compare per primo: “aiutare a identificare gli elementi in rapporto con le religioni sia nella società sia nella propria esperienza personale”. A me pare che qui non si tratti di un insegnamento about religions, bensì from religions. In effetti l’insegnamento from religions incoraggia l’allieva o l’allievo a valutare la propria comprensione delle religioni in termini personali e a valutare la propria comprensione di sé in termini religiosi (per riprendere la definizione di un noto studioso). Similmente nel “Piano di studio” si dice di prestare attenzione alla “dimensione religiosa della cultura”, quando invece il tema dell’insegnamento dovrebbe essere la “dimensione culturale delle religioni” (come pure delle dottrine secolari). Non è una questione di lana caprina: nel primo caso l’approccio è interno, religioso; nel secondo invece è esterno e descrittivo, con un’impostazione generale simile a quella che in Francia e in alcuni cantoni romandi fu assegnata alla trattazione del “fatto religioso”.

Se questa è l’impostazione generale dell’insegnamento, interna al religioso e forse anche from religions, è lecito chiedersi se essa si possa conciliare con quanto stabilisce l’articolo della Legge della scuola e, più ancora, con il principio costituzionale. Un siffatto insegnamento può ancora dirsi neutrale? Il dubbio a me pare più che giustificato.