Negli ultimi giorni per la prima volta le casse malati hanno esercitato il diritto di contestare le decisioni di pianificazione ospedaliera. Curafutura e Santésuisse hanno ricorso contro le decisioni di tre Cantoni (Appenzello Interno ed Esterno e San Gallo) relative a un mandato nel settore della cardiochirurgia.
Vale la pena richiamare le possibili implicazioni sul futuro della pianificazione ospedaliera cantonale, in particolare l’emergenza di nuovi equilibri di potere tra i diversi attori della pianificazione e di criteri che, sebbene presenti da tempo, sembrano essersi ormai consolidati come la “normalità” nella pianificazione ospedaliera e sanitaria. In un comunicato del 23 aprile ci viene spiegato che “Curafutura e Santésuisse hanno deciso di avvalersi per la prima volta del nuovo diritto di ricorso come chiaro segnale in difesa degli assicurati”. Il mondo all’incontrario: la lobby delle casse malati che, per difendere i propri interessi (e non appare ormai più necessario dimostrare quali siano), si fa scudo degli “interessi” degli assicurati, cioè di quei milioni di famiglie che da anni essa tartassa con il prelevamento di premi ritenuti eccessivi ormai da tutti, o quasi. La situazione è ancora più preoccupante se consideriamo che, di fatto, esse rimangono l’unico interlocutore degli esecutivi cantonali, responsabili delle decisioni fondamentali sulla pianificazione.
Il risultato di questo confronto è prevedibile: le casse malati otterranno una vittoria schiacciante, l’esito dei dibattiti nel parlamento nazionale in occasione dei tentativi di ridurre il potere delle casse malati (pensiamo alle discussioni sulle famose “riserve”) ha dimostrato quanto “pesino” le casse malati. La riforma Efas, introducendo un finanziamento pubblico uniforme per le prestazioni ospedaliere e per quelle ambulatoriali e di cura – voteremo in autunno –, potrebbe ulteriormente rafforzare il potere delle casse malati, consegnando di fatto la politica sanitaria nelle loro mani.
In Ticino la situazione è ancora più complicata poiché nel 2021 il Gran Consiglio ha di fatto rinunciato a pronunciarsi sulla pianificazione ospedaliera, limitandosi a definirne gli “indirizzi strategici” e affidando le decisioni fondamentali al Consiglio di Stato.
Nel ricorso al quale abbiamo accennato emerge infatti il ruolo decisivo della quantità degli atti medici praticati in una struttura sanitaria al fine di valutarne la qualità. Scrive Santésuisse: “Un nuovo centro specializzato in cardiochirurgia porterebbe a una diminuzione della qualità: già oggi in vari ospedali non viene raggiunto il numero minimo di casi richiesto”; e ancora: “Un basso numero di casi trattati comporta generalmente una riduzione della qualità delle cure e un rischio supplementare per i pazienti”. Queste osservazioni hanno sicuramente un fondo di verità, in particolare se riferite ad atti medici e di cura estremamente specialistici; ma non sono certo applicabili “generalmente” a tutti i tipi di intervento ospedaliero. In realtà questa visione quantitativa muove da una logica economica e produttiva, piuttosto che da una genuina preoccupazione per la qualità. Gli atti medici sono equiparati alla produzione di merci, con l'obiettivo di ridurne i costi unitari. Questo ha portato, ad esempio, all’introduzione del sistema di finanziamento Drg, forfettario per tipo di intervento anziché basato sui costi reali dei singoli casi individuali.
Abbiamo avuto la conferma di come questi concetti di “sicurezza” e “qualità” vengono spesso usati per giustificare la riduzione dell’offerta sanitaria nelle recenti discussioni sulla concentrazione dei Pronto soccorso pediatrici: “Si pone l’obiettivo di accrescere la sicurezza e la qualità delle cure pediatriche”, ha dichiarato il direttore dell’Eoc Martinetti. Ma lo stesso discorso è pure emerso, in passato e ancora di recente, in merito al mantenimento di reparti di ostetricia negli ospedali regionali. A più riprese si è affermato che il mancato raggiungimento di un certo numero di parti all’anno in alcuni ospedali regionali (a cominciare da quello di Mendrisio), non solo rappresenta un “costo” eccessivo, ma metterebbe a repentaglio la sicurezza delle pazienti e dei nascituri. Nell’ambito della precedente pianificazione, una maggioranza del Gran Consiglio aveva di fatto proposto la dismissione – a vantaggio di una fusione con la struttura privata del gruppo Genolier-S. Anna – del reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale regionale di Lugano. Quella decisione, fortunatamente, venne spazzata via dal referendum lanciato dall’Mps e da altre forze politiche.
Il ricorso da cui siamo partiti annuncia un futuro nel quale la sanità in Svizzera sarà sempre più in modo decisivo nelle mani dei grandi gruppi di cassa malati, ancora più di quanto non lo sia già adesso. Un futuro nel quale il ruolo e le possibilità di intervento dell’ente pubblico saranno sempre più marginali. Un futuro denso di nubi per i e le pazienti, che sono poi i cittadini e le cittadine che pagano salatissimi premi di cassa malati. Un futuro nel quale, è ormai evidente, i premi aumenteranno e l’offerta, la qualità e la varietà delle prestazioni di cura tenderanno a diminuire.