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Nucleare francese alla deriva

Lo scorso 6 dicembre è stato presentato il “World Nuclear Industry Status Report”, un rapporto che annualmente fa il punto della situazione del nucleare civile nel mondo. Nelle 549 pagine in cui è condensato l’esercizio 2022 spicca - come già negli ultimi anni - il delicato stato in cui si trova il nucleare francese, la cui produzione è calata - rispetto ai 400 TWh a cui ci aveva abituati fino al 2015 - di ben 120 TWh. Un calo pari al doppio del consumo elettrico svizzero, con una media di indisponibilità di 152 giorni per reattore e fino a 33 reattori indisponibili contemporaneamente.

Il presidente dell’autorità di sicurezza nucleare Asn, chiamato a testimoniare davanti a una commissione del senato e dell’assemblea nazionale, ha affermato che questo tracollo “è il risultato di un malfunzionamento industriale globale della catena di concezione, di fabbricazione e di controllo”. Nel 2016 un contenuto troppo alto di carbonio - caratteristica che rende l’acciaio fragile favorendo la rapida crescita di crepe - è stato riscontrato nel coperchio e nel fondo del reattore Epr in costruzione a Flamanville, così come in 46 generatori di vapore connessi direttamente a 18 reattori in esercizio. I fabbricanti erano al corrente del problema che hanno risolto falsificando i certificati di qualità, mentre il gestore Électricité de France (EdF) non ha eseguito i dovuti controlli in tempo utile, ignorando la messa in guardia da parte dell’Asn avvenuta già nel dicembre 2005. Così, negli ultimi anni EdF ha dovuto procedere a controlli e sostituzioni (ancora in corso), durante i quali uno di questi 46 scambiatori di calore da 465 tonnellate e 22 metri d’altezza è persino caduto all’interno dello stabile di un reattore. La durata dei lavori su quel reattore è passata dai 250 giorni previsti ai 1'164 effettivi, con 19 spostamenti della data di avviamento, il tutto dichiarato come “pianificato”.

Poi la scoperta di crepe dovute a corrosione da stress nei sistemi di raffreddamento d’emergenza - anch’essi connessi direttamente ai reattori - ha obbligato EdF a numerose ispezioni e riparazioni. Si potrebbe pensare che ciò sia dovuto all’età della flotta dei reattori francesi, che con una media di 38,1 anni non è delle più giovani. In realtà, purtroppo, sono stati proprio i reattori più moderni (la serie N4 da 1450 MW) a destare le maggiori preoccupazioni e a richiedere il maggior numero di riparazioni, al punto che nessuno di questi è andato in servizio per l’intero 2022, nonostante il centinaio di saldatori venuti dal Canada e dagli Usa e i tubi preconfezionati da sostituire per i 16 reattori della serie N4 e P’4 ordinati in Italia. E non è finita: lo scorso anno è stata scoperta in zona non sospetta una crepa lunga 155 millimetri e profonda 23 millimetri per uno spessore totale del tubo di 27mm, oltre a crepe da affaticamento termico su altri reattori. Ciò richiederà tutta una serie di controlli supplementari sull’intera flotta.

Un quadro ulteriormente offuscato dal centro di trattamento delle scorie di La Hague, dove le piscine di stoccaggio del combustibile usato – che contengono l’equivalente di un centinaio di reattori – sono vicine alla saturazione e dove non si sa più dove mettere il plutonio che ha oltrepassato le 60 tonnellate. Poco sicuro e molto vulnerabile, il sito di La Hague rappresenta un bersaglio ideale per i terroristi. Infine, il debito di 64,5 miliardi, i 100 miliardi previsti per il prolungamento della vita dei reattori esistenti e la pressione politica per la costruzione di 6 nuovi reattori Epr2 (che non esistono nemmeno sulla carta) concorrono a mettere EdF in una condizione di lavoro da cui ci si può aspettare anche il peggio. Perché, come diceva Murphy, se qualcosa può andar male, lo farà.