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Principi svizzeri per tempi difficili

La Svizzera adora l’idea di essere al riparo dalla Storia (o, perlomeno, la sensazione di esserlo un po’ più degli altri). È uno stato d’animo che ci accomuna tutti, sotto sotto, ma che in alcuni momenti rasenta l’illusione collettiva, fino a farci ignorare a lungo i segnali di cambiamento che arrivano dall’attualità: che si tratti di clima, guerra, collassi bancari o della crisi del potere d’acquisto che colpisce molte famiglie ticinesi.

Arrivano però momenti in cui questa «strategia dello struzzo», scossa da fasi di incertezza particolarmente gravi o prolungate, si ribalta nel suo opposto: di solito, è il momento in cui il nervosismo e i timori sostituiscono le ambizioni e l’ottimismo.

In un momento come quello che stiamo vivendo, non è facile predicare l’equilibrio e restare fedeli ai valori della libertà, della coesione e del progresso. Il volume delle sirene della demagogia è al massimo, così come la nostra disponibilità a rispondere alla loro chiamata. Non lo dico con fare sprezzante: come tutti, anche io sono sensibilissimo alla tenaglia delle preoccupazioni materiali – e, quando si stringe, è forte la tentazione di aggrapparsi al più vicino maniglione antipanico.

Sono i momenti come questi, quelli in cui siamo più inclini ad assecondare le seduzioni del manicheismo, delle soluzioni facili, delle posizioni più radicali. Non va poi dimenticato che il fuoco dell’intransigenza, in situazioni di questo tipo, trova scorte inesauribili di benzina sui media e sui social; la politica diventa così una gara a chi la spara più grossa e fa scivolare la nostra democrazia del compromesso verso un bipolarismo schizofrenico.

Ma è davvero questo il futuro che vogliamo per la Svizzera? È questa la soluzione che ci permetterà di tenere insieme un Paese eterogeneo come il nostro? La risposta è «no». Se guardiamo alla nostra storia, l’unica possibilità che abbiamo è di stringerci attorno ai valori che ci hanno sempre ispirato, e poi tradurli in soluzioni pratiche per problemi come i costi della salute, il mercato del lavoro o le sfide legate a clima ed energia.

Quando eleggiamo chi ci rappresenterà nelle istituzioni, dovremmo tenere presente che stiamo scegliendo gli ingranaggi da inserire in un meccanismo molto delicato. C’è bisogno di persone consapevoli del peso del loro ruolo, capaci di dialogare anche aspramente, ma poi pronte a trovare soluzioni insieme all’avversario. Senza questa attitudine alla mediazione, sarà impossibile mettere mano a cantieri ultra-complessi la riforma dell’Avs, quella dell’assicurazione malattia, il ripensamento della nostra politica di sicurezza o le relazioni con l’Ue.

Cercare il compromesso non significa togliere potenza alle idee. Penso alla lungimiranza di riformatori veri come Franco Zorzi, Giuseppe Buffi o Walther Stampfli e ai loro rispettivi risultati epocali – la galleria autostradale del San Gottardo, la creazione dell’Usi, l’introduzione dell’Avs. Questi veri monumenti del nostro federalismo mostrano che profilarsi non equivale a radicalizzarsi: quel che serve è la volontà di unire il Paese dietro a riforme, investimenti e progetti comuni.

Come partiti, infine, dobbiamo renderci conto che alimentare la cagnara non porterà lontano nessuno di noi. Il rischio reale è di indurre i cittadini all’indifferenza, una delle malattie più subdole per la nostra democrazia diretta. Alla lunga, esasperare le divisioni ci danneggerà tutti: regioni di montagna contro città, ricchi contro poveri, ticinesi contro confederati, «bravi cittadini» contro «negazionisti». L’esito finale rischia di essere una guerra fra bande, sempre più minuscole, combattuta a colpi di disinformazione e isolamento reciproco. Cosa accade, dove questo scenario si concretizza, lo vediamo bene oggi in molte parti d’Europa: l’angoscia individuale diventa ansia collettiva e trascina la comunità nelle braccia di forze che vengono dal nostro tragico passato, e che nel passato dovrebbero rimanere.

L’insegnamento più prezioso del liberalismo è la sua consapevolezza dei propri limiti: non promettiamo di creare il Paradiso in terra e ammettiamo i nostri errori, per correggerli e portare avanti un poco alla volta il Paese, usando come guide la ragione, la libertà e la coesione. È questo il vero progresso che vi chiediamo di sostenere tra pochi giorni – grazie a un diritto che dobbiamo trattare come il più importante dei doveri, ovvero il diritto di voto.