il ricordo

Il progetto di Giorgio Napolitano

(Ti-Press)

Il presidente Giorgio Napolitano, deceduto a Roma venerdì scorso all’età di 98 anni, era venuto in Ticino in visita ufficiale nel 2014, ma in Ticino c’era già stato, almeno una volta, quasi trenta anni prima, nel 1987 quando aveva partecipato a un dibattito organizzato nell’ambito del festival di “Politica Nuova” al Palapenz di Chiasso sul tema “Un nuovo progetto per la sinistra europea”. Il dibattito ebbe luogo in un periodo politicamente rovente per il Ticino, alla vigilia delle elezioni cantonali del 5 aprile 1987, elezioni che segnarono la fine dei 65 anni di 2-2-1. Dopo quella data nella politica ticinese nulla sarà più come prima.

Con Napolitano, che in quegli anni era membro della direzione del Pci e responsabile del Dipartimento esteri di quel partito, parteciparono al dibattito l’economista e deputato francese Dominique Taddei e il deputato al Bundestag tedesco Michael Müller, futuro sindaco di Berlino, oltre allo svizzero Rudolf Strahm economista e futuro consigliere nazionale del Ps.

L’intervento di Giorgio Napolitano venne così riportato sul numero del 20.3.87 di Pn:
“Sussiste una sempre maggiore affinità di esigenze e quindi di intesa a livello europeo. Quando si parla di sinistra europea non ci si riferisce solo alla sinistra politica, ma a tutto un insieme di presenze, di realtà e di forme sociali e culturali. Si tratta, perciò, di trovare i canali per associare allo sforzo di rilancio della sinistra e di rifondazione di un progetto socialista anche queste forze e queste energie che non sono inquadrate nei partiti. Questo aspetto è tanto più cruciale in quanto abbiamo bisogno di più idee e dobbiamo superare grosse difficoltà di carattere culturale e non solo politico. Bisogna infine pensare anche ai movimenti che, nonostante varie ambiguità, sono stati molto vivi negli ultimi anni: si pensi ai movimenti pacifisti, femministi ed ecologisti. La sinistra europea è un po’ tutto questo. Un crogiuolo in cui noi dobbiamo riuscire a rifondare una identità e un progetto della sinistra, in senso lato prima, e in senso stretto, politico poi.
Siamo in difficoltà. Non possiamo nasconderlo, ma non possiamo cadere in nessuna sorta di pessimismo o fatalismo. Queste difficoltà sono legate alla crisi e al forte cambiamento prodottosi in Europa su cui si è innestata una controffensiva neoconservatrice. Noi abbiamo visto in questo ultimi dieci anni cambiare i caratteri non solo dell’economia e dell’ecologia, ma della stessa struttura sociale: gli orientamenti culturali, gli orientamenti e i bisogni di larghi strati della società e, in particolare, delle generazioni giovani. Si è così posta una grande questione per la sinistra in Europa che non siamo ancora riusciti a risolvere anche se ne abbiamo preso coscienza. Rinnovarsi senza perdere la propria identità. Rinnovarsi dunque, quindi non ripetere le idee, le politiche, le parole d’ordine del passato. Uscire da atteggiamenti difensivi perché molte battaglie di difesa sono destinate a essere perdenti. Bisogna però rinnovarsi, restando forze di sinistra senza buttare il nostro patrimonio nei suoi fondamenti irrinunciabili. La sinistra ha perso consensi sul piano elettorale in diversi Paesi e si è anche divisa. Si tratta allora di trovare nuove adesioni anche in ceti diversi rispetto a quelli tradizionali, pur consolidando la nostra presenza nella classe operaia. Senza scadere nelle formule la sinistra deve riuscire a caratterizzarsi come la forza che abbia preso coscienza in modo più profondo dei processi di internazionalizzazione e di trasformazione tecnologica e sociale in atto per dominarli e guidarli. Ciò significa che la sinistra deve perdere l’antico vizio di chiudersi nei confini nazionali, deve spogliarsi da ogni provincialismo. Bisogna allora battersi per l’autoaffermazione dell’Europa, fare della bandiera dell’europeismo la bandiera della sinistra e far capo alle grandi potenzialità disponibili per opporsi ai rischi estremi dell’olocausto nucleare, della catastrofe ecologica e per garantire la vivibilità futura di questo pianeta. Questo è anche il modo per dare in ciascun Paese nuovi contenuti agli ideali democratici e socialisti: libertà, uguaglianza, solidarietà e internazionalismo.”

Trentacinque anni dopo non cambierei una virgola di questo discorso. Un discorso che ancora mi emoziona e che mi suggerisce una riflessione. È noto che il presidente Napolitano sapeva essere pragmatico. Per questo nel 2013 sinistra e destra uniti lo pregarono, a 88 anni, di accettare una presidenza bis e prendere l’Italia per mano in un momento difficilissimo. Lui lo fece con sensibilità istituzionale e grande senso del dovere. Lo fece cercando di far convergere forze diverse verso decisioni utili per superare la crisi, utili per il Paese nell’immediato. Meno noto è che avesse anche un “progetto politico” (una ideologia?). Come diceva uno slogan del Pci di allora i comunisti volevano essere pragmatici e avere un progetto, perché senza progetto mancano le emozioni, manca la passione che dà senso al pragmatismo. Senza un progetto il politico pragmatico diventa un funzionario. Utile magari, se è onesto, ma che non lascia il segno. E Napolitano, come dimostrano la sua storia e le parole pronunciate a Chiasso, era pragmatico e aveva un Progetto. Un Progetto a mio parere ancora attualissimo.