La riforma organizzativa che sarà sottoposta all'assemblea il prossimo 20 settembre getta le basi fondamentali per affrontare un’agguerrita competizione
Questa 76esima edizione del Locarno Film Festival non si distingue solo per la ricchezza della sua offerta, con oltre 350 proiezioni, 110 prime mondiali e la retrospettiva dedicata al cinema messicano. Segna anche la transizione, se così vorrà l’assemblea sovrana prevista per il 20 settembre prossimo, verso un nuovo governo di impresa codificato nella revisione statutaria voluta all’unanimità, e con una buona dose di coraggio, dall’attuale Consiglio di amministrazione secondo le raccomandazioni dell’apposito gruppo di lavoro che ho avuto il piacere di coordinare. E probabilmente non è un caso fortuito se anche la designazione di Maja Hoffmann, promotrice culturale di prestigio internazionale chiamata a raccogliere la cospicua eredità di Marco Solari, si iscrive in un disegno di parziale riconfigurazione delle pratiche finora applicate nella gestione dei compiti strategici e di quelli operativi. L’intera organizzazione festivaliera ha infatti raggiunto dimensioni tali da porre delicate questioni in un’ottica di sostenibilità a lungo termine.
Quella che negli anni è andata affermandosi come una tra le dieci rassegne cinematografiche più importanti a livello internazionale, grazie alla dedizione esemplare di un presidente votato anima e corpo alla causa e grazie all’impegno dei direttori (operativo e artistico) e di tutti i loro collaboratori, presenta una struttura ancora fortemente piramidale e dipendente da una presidenza che unisce funzioni sia strategiche sia esecutive, oltre ad assicurare il necessario sostegno finanziario alla manifestazione (una never ending story) e a curare i rapporti con le istituzioni e i partner privati. Questa concentrazione di competenze è il frutto del contesto storico dell’inizio degli anni Duemila, quando gli avvicendamenti imprevisti alla presidenza e la crisi finanziaria della rassegna, nonché la mancanza di un vero managing director, costrinsero il nuovo arrivato Marco Solari a occuparsi di tutto e di più per scongiurare il peggio e garantire la sopravvivenza del Festival. In particolare, egli avviò subito il processo di aziendalizzazione dell’organizzazione, stabilì la netta separazione tra direzione operativa e artistica e si adoperò senza tregua per una rigorosa gestione finanziaria. Così il Locarno Film Festival è potuto diventare ciò che è oggi.
Eppure, a dispetto dell’apparente stabilità della manifestazione, tutto questo non basta per poter guardare con serenità al futuro. La sempre più spinta competitività tra le rassegne cinematografiche a livello nazionale e internazionale, la limitatezza delle risorse finanziarie pubbliche e il grado di complessità del Festival (con un budget annuo di ormai oltre 17 milioni) lo espongono a rischi che non possono essere sottovalutati. Senza la riforma proposta dal Consiglio di amministrazione, la manifestazione potrebbe presto rivelarsi quel gigante dai piedi di argilla spesso evocato dallo stesso presidente. È dunque auspicabile un riorientamento del governo di impresa che si ispiri, mutatis mutandis, ai codici di governance riconosciuti a livello internazionale per la conduzione di grosse imprese culturali. Va infatti garantita una più netta separazione (senza sovrapposizioni di ruolo) tra compiti strategici e di controllo da una parte e compiti esecutivi dall’altra. Lo si potrà fare con un Consiglio di amministrazione ridotto a 7 membri (contro gli attuali 27) il cui criterio di composizione sarà improntato soprattutto alle competenze settoriali, anziché alla rappresentanza dei portatori di interessi (fatto salvo il diritto della Città di Locarno a un suo rappresentante) e con una direzione generale (executive board) formata dalle due figure responsabili (operativa e artistica) poste sullo stesso piano gerarchico, ma con compiti sempre ancora ben distinti e autonomi; direzione che potrà essere allargata alle o ai responsabili di settori specifici, come per esempio quello digitale e della comunicazione. L’attuale Consiglio di amministrazione svolge oggi più un ruolo di garante degli interessi territoriali e dell’industria cinematografica che non di promotore delle strategie di sviluppo del Festival, per tacere del ruolo di vigilanza sull’operato degli organi esecutivi, che di fatto è pressoché inattuabile già solo per il numero dei membri e per la limitata possibilità effettiva di svolgere le verifiche del caso.
Il nuovo Consiglio di amministrazione dovrà avvalersi dei profili di competenza ed esperienza necessari ad assicurare una gestione efficiente, in particolare in ambito cinematografico, strategico-aziendale, finanziario, culturale e istituzionale. Gli spetterà definire gli obiettivi strategici, assicurare la sostenibilità economica, ambientale e sociale della manifestazione e provvedere a un’adeguata allocazione delle risorse disponibili, stabilendo le priorità e le modalità per la gestione delle relazioni istituzionali. Dovrà inoltre assicurare anche in futuro la piena libertà della direzione artistica e vigilare affinché il Locarno Fim Festival contribuisca alla promozione della cultura audiovisiva e dell’industria cinematografica svizzera e internazionale. E potrà contare su due importanti organi consultivi: il Policy Advisory Board e l’Industry Advisory Board, il cui ruolo sarà quello di sostenere e consigliare il nuovo Consiglio di amministrazione nelle scelte strategiche di natura politico-istituzionale e finanziaria (il primo), rispettivamente nelle decisioni necessarie per consolidare l’identità e il posizionamento del Festival nel contesto dell’industria cinematografica svizzera e internazionale (il secondo).
Insomma, è come trovarsi davanti a un bivio: o si opta per la conservazione dell’esistente condannando il Festival all’irrilevanza (per non dire di peggio) o invece si osa cambiare per riuscire ad affrontare la concorrenza con strumenti adeguati. Se la nuova ripartizione interna del lavoro veicolata dalla revisione statutaria riceverà la benedizione dell’assemblea, la nuova presidenza potrà concentrarsi meglio sugli aspetti strategici e rappresentativi, oltre che sulla conduzione dello stesso Consiglio di amministrazione e sulla cura dei rapporti internazionali, lasciando invece alla direzione generale i compiti esecutivi. La riforma è dunque uno strumento prezioso offerto alla presidente designata e appare come un buon viatico per valorizzare ulteriormente i notevoli risultati ottenuti dal presidente uscente e dalla sua squadra, assicurando nuovi traguardi di successo anche nei prossimi anni.