Non è una questione unicamente storica, ma anche geografica: le donne devono riappropriarsi dello spazio che è stato loro tolto. Ebbene sì: la politica è fatta di spazi da occupare, da abitare con coraggio (lo spiega bene Daniela Brogi in un libro molto bello, “Lo spazio delle donne”, uscito per i tipi Einaudi). A teatro, uno dei primi compiti che deve imparare il novizio attore o la novizia attrice è quello di muoversi “occupando lo spazio”. Solo così, infatti, si potrà dare al corpo la possibilità di incarnare un personaggio. Il 14 giugno è una data simbolica molto importante per il nostro Paese: nel 1991, infatti, 32 anni fa ebbe luogo il primo sciopero delle donne a livello nazionale svizzero, portato avanti con l’incoraggiante slogan “Se le donne vogliono, tutto si ferma”. È vero. Non sono forse le donne, infatti, a occupare più spazi contemporaneamente? Quello privato della casa, da sempre ritenuto naturale (sul concetto di cosa sia o non sia naturale sarebbe il caso di soffermarsi, ma si cadrebbe in un territorio filosofico e concettuale molto complicato, basti dire che la natura non è uno stato a sé, fisso, da cui poi si sviluppa la cultura: le cose sono un po’ più complesse), quello del lavoro, che però occupiamo ancora con insicurezze e incertezze, come se non fosse davvero nostro, come se ci facessero un favore a lasciarci entrare, noi, ospiti e cittadine un po’ meno cittadine di altri, con tanto da dimostrare e molto meno da guadagnare (anche in termini salariali, nel privato oggi in Svizzera esistono disparità evidenti). Non solo: quando fosse, che abbiamo un lavoro, che ci sia ben retribuito, non ci salti in mente di fare carriera o di dimostrare che abbiamo valore, in taluni casi anche maggiore rispetto a quello di un collega. Il nostro spazio di parola sarà sempre messo a dura prova, per dimostrarne la minore legittimità. Ci sono studi che certificano che quando una donna parla viene statisticamente interrotta più volte che un uomo, il che significa dire, simbolicamente, che ha minor diritto di parola nello spazio pubblico. Per non parlare del talento, che può manifestarsi in aree lontane da quelle professionali: l’arte, la scrittura, anche la politica. Una donna dovrà giustificarsi quasi, se vorrà tentare di conciliare lavoro, vita privata e talento, arrabattandosi come può, in modo funambolico, rischiando sempre che i nervi crollino (come sono fragiline, queste donne). Il 14 giugno scendiamo in piazza per ottenere spazi economici, politici, ma anche simbolici. Perché è necessario un cambio di paradigma simbolico, linguistico, affinché le cose cambino per davvero, affinché le strutture interiorizzate di chi ritiene che il nostro spazio sia meno legittimo e legittimato crollino, a poco a poco. Anno dopo anno, passo dopo passo.
Sono passati quattro anni da quel famoso 14 giugno 2019, una manifestazione a carattere nazionale che anche qui in Ticino aveva registrato il massiccio dispiegarsi di forze e sensibilità diverse. In totale, avevano aderito persone per un numero di mezzo milione, unite da uno scopo ben preciso: lottare contro la discriminazione di genere, a tutti i livelli. Io credo che quella manifestazione sia stata importantissima per il nostro territorio, spesso un po’ addormentato quando si tratta di alzare la voce per ribadire ovvietà che così ovvie non sono, se si guarda ai fatti. Le lotte fatte dopo quella data, e che hanno visto il determinato “no” di ampi compartimenti della società, lo dimostrano (penso all’affaire Rete due e alla manifestazione in seguito all’abbattimento dell’ex Macello). Credo che l’insegnamento sia stato importante per la società tutta, perché le battaglie che si fanno per le donne sono battaglie che si fanno in nome della democrazia. Chi vuole una società equa e giusta non può non combattere per lo spazio delle donne. Per quello speriamo che il 14 giugno, in piazza, ci siano tanti uomini.