In vista dell‘evento ’Il suffragio in scena’, il punto sulla presenza femminile nello spazio politico e pubblico in occasione del 50° anniversario
“Proteggetela”, era uno degli slogan che 50 anni fa campeggiava sui cartelloni della campagna contro l’introduzione del suffragio femminile in Svizzera, “la donna non deve essere preda dei partiti”. Per la sua indole delicata, gentile, amorevole – era inteso – nell’ambiente duro della politica, concepito come una sorta di ring, avrebbe finito per soccombere. «Oltre a quello della donna vittima, dai manifesti dell’epoca emergevano con ricorrenza altri due tipi di luoghi comuni – spiega la storica Susanna Castelletti, che sabato 2 ottobre parteciperà all’evento “Il suffragio in scena” al Teatro Sociale di Bellinzona (16.30) con un intervento dal titolo “La politica non fa per te! Stereotipi e mentalità collettiva” –. Da una parte l’accesso alla politica attiva avrebbe fatto diventare la donna fisicamente brutta, mascolina, un’arpia secondo certe raffigurazioni. Dall’altra non le avrebbe più permesso di essere madre, non tanto per l’incapacità di fare figli, ma per quella di gestire la famiglia: un ciuccio con posata sopra una mosca, una casa a soqquadro abbandonata sono due immagini emblematiche di questa logica. Insomma, il messaggio era che se una donna fosse uscita dal privato ed entrata nel pubblico si sarebbe snaturata». Si tratta di stereotipi sui quali già a partire dall’800, quando prese avvio il percorso istituzionale di emancipazione della donna, gli oppositori basavano le loro argomentazioni. Tuttavia, osservando la cartellonistica precedente al voto del 1971, si nota come anche quella prodotta a favore del suffragio femminile veicolasse diversi luoghi comuni: si va dall’immagine di una donna con in braccio un bambino e la scritta “pensate alle vostre responsabilità”, a quello di un mazzo di fiori per le “donne di gran cuore” come se il voto fosse l’offerta di un omaggio galante. «Non sempre i favorevoli proponevano una visione particolarmente innovativa della donna – commenta Castelletti –, la differenza con i contrari sta però nel fatto che questi ultimi usavano gli stereotipi per far paura». Ma che cosa ne è stato nell’ultimo mezzo secolo di tali stereotipi che non di rado colonizzavano anche il pensiero femminile?
Come dimostrano le vignette e gli articoli pubblicati sulla stampa ticinese negli anni immediatamente successivi al ‘71 – spiega Castelletti – spesso le donne venivano ancora apertamente rappresentate come ingenue, sciocche, inadatte a certi ruoli e questo ne ha sicuramente frenato l’integrazione politica. «Si diceva tranquillamente che la donna è fatta per stare in casa. Oggi invece il discorso è più complicato, la maggior parte delle persone si dichiara a favore della parità di genere, ma resta il fatto che le donne sono ancora in netta minoranza nei luoghi di potere, come in politica, e quando pensiamo a una carica di rilievo, che può essere ad esempio di sindaco, tendiamo ancora di primo acchito a identificarla con un uomo. Sono stereotipi più smussati, meno espliciti e spesso non intenzionali, che però continuano ad agire sottotraccia e di cui va presa coscienza».
Uno strumento che permette di acquisire consapevolezza è la storia. «Conoscere il passato aiuta a collocarsi nel presente. Dobbiamo comprendere che tutto, dalle azioni che compiamo ai diritti che esercitiamo, ha una storicità ed è frutto di quello che è successo nel tempo, spesso in modo burrascoso. L’accesso all’istruzione, alla politica, al mondo del lavoro, che oggi diamo per scontato, è una conquista che deriva da un percorso lungo e impegnativo. È un peccato che ad esempio non si conosca il nome di nessuna protagonista dei movimenti femminili suffragisti. Manca la coscienza della fatica che queste donne hanno fatto per raggiungere determinati obiettivi. Ad esempio prestando attenzione alla toponomastica – sono rarissime le piazze e le vie che in Ticino hanno nomi di donne – si può arricchire il bagaglio culturale comune. Anche il concetto di “femminista”, parola oggi spesso usata con reticenza e con un’accezione negativa, ha sempre avuto quale principio quello di parità tra uomo e donna, non di una supremazia, ma chi non conosce la storia ha la tendenza a dare dell’esagerato, del puntiglioso a chiunque si definisca tale, “Se ne è parlato a sufficienza. Ci sono questioni più importanti. Cosa altro vogliono?”, si sente spesso dire». Resistenze al cambiamento sono ben visibili anche a livello linguistico. «Ritengo peccato il fatto che spesso non si declini un nome al femminile perché non suona bene, soprattutto se la grammatica lo permette. Ragionare sulla lingua può sembrare un problema secondario, ma dato che è il riflesso del modo di pensare collettivo, è uno di quei processi che concorrono ad abbattere gli stereotipi e aprire le mentalità».
Castelletti, che è anche docente al Liceo di Locarno e alle Scuole medie di Morbio, testimonia di un cambio di mentalità in atto. «Quando trattiamo queste tematiche a lezione, c’è interesse da parte sia delle ragazze che dei ragazzi e anche stupore e perplessità quando ad esempio parliamo del fatto che in Appenzello Interno le donne possono votare solo dal 1990 e per imposizione del tribunale. Le nuove generazioni sono più aperte e un po’ più immuni agli stereotipi, grazie anche all’importante lavoro che sta facendo la scuola. Si cerca di far capire che la storia delle donne non è un argomento di nicchia che va studiano solo da ragazze, ma qualcosa che fa parte del nostro passato e del percorso dell’umanità. In generale attraverso tutte le materie la scuola può essere un motore di cambiamento formando dei cittadini di domani consapevoli delle problematiche da affrontare. Questo è uno dei primi passi fondamentali per raggiungere la parità». Un altro è quello di tenere alta l’attenzione su questi argomenti nel discorso pubblico. «Bisogna far sì che se ne parli non solo in occasione dell’8 marzo o di determinati anniversari, ma in modo regolare, e che sia all’ordine del giorno anche nell’agenda politica. È necessario che tutti capiscano che non si tratta di un tema diviso tra i sessi, ma comunitario, che riguarda un miglior modo di vivere assieme all’interno della società».
Tra le tante cifre che mostrano come la conquista politica del voto non sia ancora stata pienamente assimilata e tradotta in parità, vi sono quelle relative al numero di donne presenti nel Gran Consiglio ticinese, 31 su 90, e in Consiglio di Stato, 0 su 5. Oltre alla questione numerica, il politologo Andrea Pilotti – pure tra gli ospiti dell’incontro del 2 ottobre – da anni rivela con degli studi un altro aspetto dell’esclusione del genere femminile dalla politica, ossia quello delle fasce economicamente più svantaggiate. Con l’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna, di cui è responsabile di ricerca, a seguito delle elezioni cantonali si occupa di tracciare il profilo dell’elettorato dei candidati e delle candidate. Sabato sarà l’occasione di presentare i risultati del 2019 con focus sulle donne, mettendoli in comparazione con quelli del 2011 e 2015. «Ci sono tendenze già delineate nel passato e che questi dati, di cui stiamo ultimando l’elaborazione, presumibilmente confermeranno – dice il politologo –. Il profilo della candidata che ha più possibilità di essere eletta contempla una formazione universitaria e una posizione professionale di responsabilità, con una presenza sempre importante delle libere professioniste e i quadri nel settore privato. Si trova poi qualche profilo di professioniste legate alla socialità e sanità con cariche di responsabilità. Per contro donne senza posizioni dirigenziali, ad esempio infermiere, cassiere, operaie, sono una chiara minoranza tra le candidate e praticamente assenti tra le elette».
Per quanto riguarda il profilo delle elettrici che tendono maggiormente a partecipare al voto, «l’aspetto ricorrente è quello di un grado di formazione medio-alto e una posizione professionale con buoni livelli salariali. A disertare maggiormente le urne sono invece elettrici che vivono una situazione di fragilità economica. Questo vale anche per gli uomini, ma il dato rilevante è che le donne tendono a partecipare ancora meno in quanto la condizione di precarietà le tocca in misura più importante. Sono perlopiù loro ad avere 2-3 lavori part time, a occupare i gradini salariali più bassi e a votare meno perché sfiduciate dalla politica». Dunque, nonostante 50 anni di diritto di voto – sostiene Pilotti – da un lato una porzione importante di cittadine si autoesclude, dall’altro permane una selettività nel reclutare candidate che va a discapito dell’elettorato femminile più sfavorito a livello socioeconomico e che di riflesso rischia di essere meno rappresentato. «Nei partiti bisognerebbe chinarsi a riflettere su come coinvolgere questa consistente parte della cittadinanza. È una delle sfide aperte della nostra democrazia».
Che la strada verso la parità sia ancora lastricata di ostacoli lo ha messo in evidenza anche la pandemia. Davina Fitas – presidente della Commissione consultiva per le pari opportunità del Cantone e co-organizzatrice dell’evento, nonché sindacalista – evidenzia come soprattutto in Ticino siano state in gran parte donne ad aver perso il posto di lavoro. «Sono anche coloro che più hanno dato alla collettività esponendosi al pericolo, nel settore della vendita e in quello sanitario. La crisi legata al virus ha accentuato le fragilità della società in molti ambiti, si pensi anche alla problematica di collocare i figli durante la chiusura delle scuole. Questo ha reso evidente come il sistema di appoggio per le famiglie e le persone che lavorano debba essere rivisto, in particolare anche per i nuclei monoparentali che coincidono spesso con madri sole per le quali le difficoltà sono ancora maggiori».
Inizialmente previsto il 7 febbraio, giorno in cui gli uomini svizzeri votarono a favore della modifica costituzionale, l’evento aperto al pubblico – spiega Fitas – «è nato dalla volontà congiunta della Commissione consultiva per le pari opportunità, dell’Associazione Archivi Riuniti delle Donne Ticino (Aardt), della Federazione delle Associazioni femminili Ticino Plus (FaftPlus) e dell’Associazione CH2021, di celebrare questa ricorrenza». Oltre agli interventi di Castelletti e Pilotti, prenderanno parola la stessa Fitas, Virginia Helbling, scrittrice e giornalista, Zita Küng, presidente dell’associazione CH2021, e Marialuisa Parodi, che presenterà le visioni delle donne che stanno attualmente preparando la sessione femminile prevista a fine ottobre a Palazzo federale. Tra una riflessione e l’altra, l’incontro permetterà anche di sorridere attraverso gli sketch dell’artista comica Orit Guttman accompagnata dal videomaker Finestbakery. Il sottotitolo dell’evento è infatti “Sul palco 50 anni di stereotipi, studi, visioni e... risate!”. «Nel fare il punto della situazione abbiamo voluto dare spazio anche all’umorismo e all’ironia – dice la copromotrice – perché stiamo celebrando 50 anni di diritto di esprimerci, che sono davvero pochi». L’idea è di dare spazio alle donne, “sotto i riflettori, sul podio, nelle ricerche e nei sogni”, per sottolineare l’importanza di essere presenti nello spazio pubblico e politico, con uno sguardo particolare rivolto al presente e al futuro, “perché le ricorrenze servono anche a questo, ad agitare passioni ed energie, a lanciare progetti e idee, a rimettere in circolo quella forza e quegli ideali che non sono mancati 50 anni fa e che servono ancora oggi a tutta la società”, si legge nel comunicato stampa. «Ci teniamo a sensibilizzare e a coinvolgere anche le nuove generazioni – sottolinea Fitas –. Tutto quello che è stato fatto non basta, bisogna andare avanti perché, nonostante sia iscritta nella legge, questa parità non l’abbiamo ancora raggiunta. Il miglioramento c’è stato ma il margine è ancora grande ed è essenziale continuare a stare all’erta ed essere determinate. Noi costituiamo metà, anzi un po’ di più, della popolazione ed è quindi importante essere adeguatamente rappresentate dove bisogna discutere e prendere delle decisioni, perché portiamo visioni, competenze ed esperienze diverse. Sono le donne e gli uomini insieme a creare la società, e sono loro insieme a doverla gestire».
Per partecipare all’evento è necessario presentare un Certificato Covid. Iscrizioni gradite qui. Locandina col programma completo cliccando su questo link.