“Ma cosa vuoi che sia una domenica e un’oretta in più di lavoro?”. Prova a rivolgere la domanda a una commessa di vendita con figli e la risposta che riceverai sarà: “Una domenica in più di lavoro è per me una domenica in meno con la mia famiglia, un’ora in più di lavoro significa arrivare a casa dai miei cari un’ora più tardi”.
Che vi siano delle differenze di valutazione tra i consumatori/clienti e chi nel commercio vi lavora ci può anche stare, ma l’argomentario dei fautori delle modifiche della Legge sulle aperture dei negozi (Lan) è talmente modesto da irritare non solo il personale di vendita ma anche chi è già ora convinto che l’attuale finestra temporale per fare acquisti sia più che sufficiente (una 70ina di ore ogni settimana).
Oltre alla domenica e all’oretta in più di lavoro nei 5 festivi non parificati e nelle 3 domeniche prenatalizie, a preoccupare maggiormente è la modifica della metratura massima dei punti vendita (da 200 a 400 m2) dove sarà possibile tenere aperto il negozio in zone turistiche dal lunedì alla domenica e dalle 6 sino alle 22.30: trattasi, a non averne dubbi, del grimaldello presentato in modo subdolo utile solo in seconda battuta a introdurre ulteriori aperture generalizzate. Il perché è presto detto. Da una parte, si prenda atto che due terzi del territorio cantonale è già adesso considerato per Decreto cantonale come zona a vocazione turistica. Dall’altra, il raddoppio della metratura andrebbe a favorire esclusivamente la grande distribuzione a discapito dei piccoli negozi che, già ora, non riescono con i pochi collaboratori a garantire la copertura di tutti gli orari di apertura. Quei piccoli negozi che, per paradosso, la nuova Lan pretendeva di sostenere.
Nel “banalizzario” dei fautori del Sì, non si indicano mai i veri problemi che mettono sotto pressione i commercianti e minacciano i posti di lavoro: le vendite online e il turismo degli acquisti. Contro gli effetti dell’e-commerce non vi è rimedio: una modalità di fare spesa destinata a prendere sempre più e che ha vissuto un’accelerazione nei periodi di crisi pandemica. Di recente, per esempio, la Yves Rocher ha deciso di chiudere progressivamente i suoi 15 punti vendita in Svizzera e lasciare a casa centinaia di collaboratori per dedicarsi in via esclusiva alle vendite online: calo degli utili e ottimizzazione dei costi, ecco le amare motivazioni.
E per contrastare la spesa in Italia come facciamo? Aumentando il potere d’acquisto dei salari dei ticinesi che, notoriamente, sono inferiori del 20% rispetto a quelli corrisposti nel resto della Svizzera. Diano quindi il buon esempio i commercianti ticinesi che sono chiamati per contratto a rispettare un salario di 3'200 franchi lordi per 13 mensilità al personale senza qualifica. Pochi franchi in più del salario minimo cantonale, ovvero quel salario minimo che determina il confine della povertà…
Voterò NO, ovviamente.