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Il nuovo colonialismo è più complesso di quello antico

Un tempo con il colonialismo europeo classico era più semplice orientarsi. Le nazioni che componevano l’Africa Subsahariana erano mappate e separate secondo la storia dettata da Francia e Gran Bretagna, cioè semplicemente secondo l’appartenenza a una delle due potenze durante l’occupazione coloniale. Rimaneva anche qualche residuo dell’antica potenza coloniale portoghese, ma si trattava di uno scampolo – appunto: il lascito di una Storia anacronistica che non poteva che finire di lì a poco. Per la verità c’era anche un’altra grande divisione che gravava sul Continente, quella cioè che separava in due il mondo tra est e ovest, tra le grandi potenze occidentali d’Europa e Nordamerica da una parte, e le potenze dell’ex impero sovietico dall’altra. La prima era una divisione concreta, materiale, di interessi. La seconda una divisione ideologica che impattava marginalmente sulla vita degli abitanti del Continente. L’Africa Subsahariana si è affollata, assoggettata a interessi di ogni tipo. Francia e Gran Bretagna, le grandi potenze coloniali che l’hanno dominata per tutto il secolo passato oggi hanno perso qualche posizione e ultimamente, in particolare la prima è sottoposta alla pressione anticoloniale. Si confermano poi le economie emergenti del Continente Asiatico: in primo luogo, la Cina. A questa si aggiunge la Russia che è tornata a cercare posizioni in Africa Subsahariana soprattutto con una serie di accordi di natura militare o attraverso forniture di armi e l’invio di mercenari, quelli della Compagnia Wagner, che svolge il lavoro sporco per conto di Mosca. Anche gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia hanno incrementato la loro presenza sul piano economico e commerciale. Un bel caos. Cosa attira tutte queste potenze in Africa? La risposta più evidente a queste domande è che l’Africa si appresta, ancora una volta, a finanziare con le sue materie prime il prossimo assetto geopolitico del pianeta. Dal punto di vista minerario, poi, l’Africa è una sorta di forziere: vi sono minerali tradizionali, quelli che hanno letteralmente avviato e sostenuto lo sviluppo come lo conosciamo oggi, cioè petrolio, carbone, oro, rame, ferro, bauxite, ma anche minerali strategici come cobalto, litio, cassiterite, terre rare, uranio. Ma c’è un’altra questione che assilla i paesi africani: lo sviluppo è impossibile senza energia. Durante la Cop26 i paesi africani sono stati chiari: “L’Africa non accetterà di limitare il proprio sviluppo economico per sostenere la lotta al cambiamento climatico”. E come dargli torto, visto che il Continente contribuisce in maniera irrisoria al riscaldamento globale.

Dunque Pechino ha bisogno di terre e minerali, strategici e non, possibilmente estratti con un costo del lavoro molto basso. Ecco perché alle potenze mondiali che si affannano sul suo territorio conviene che l’Africa Subsahariana continui a essere un “serbatoio” di risorse, piuttosto che diventare un “mercato”.