I tre temi economici che ho affrontato negli articoli precedenti sono connessi tra di loro e dipendono molto dal sistema politico che governa il Paese: la gestione delle imprese nell’interesse di tutti gli attori coinvolti; la distribuzione della ricchezza in Svizzera, accettabile per quanto riguarda il reddito, pessima per quanto riguarda il patrimonio; la meritocrazia che nella realtà non funziona. Negli Stati occidentali – quindi compresa la Svizzera – il modello di riferimento è la democrazia. Naturalmente esistono diverse sfumature di democrazia ma tutti si riferiscono al fatto che il popolo abbia direttamente o indirettamente il potere di eleggere i suoi rappresentanti e che questi agiscano nell’interesse del bene comune. In fondo ci rifacciamo a una definizione antica: “Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così. Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell'eccellenza” (Pericle. Epitaffio)
Ma è veramente ancora così? Secondo il sociologo Colin Crouch “il mondo contemporaneo si trova, oramai, in una dimensione post-democratica. (…) gli interessi di una minoranza potente sono divenuti ben più attivi della massa comune nel piegare il sistema politico ai loro scopi; quando le élites politiche hanno preso a manipolare e guidare i bisogni della gente”.
Ma già negli anni 30 del secolo scorso il grande economista Joseph Schumpeter affermava che “i politici sono come cattivi cavalieri che si impegnano così tanto nell'impresa di mantenersi in sella da non curarsi più di quale sia la direzione verso cui stanno cavalcando”, mentre in ‘Capitalismo, Socialismo, Democrazia’ (1942) sosteneva che “la democrazia si fonda sulla divisione del lavoro fra governanti e governati entro una relazione asimmetrica”. Inoltre, sempre secondo Schumpeter, la peculiarità di tale forma di governo non consiste nel perseguimento di determinati obiettivi ideali (libertà o eguaglianza), bensì nella scelta dei governanti da parte dei governati, per mezzo delle procedure di voto. Tuttavia, le procedure non sono mai neutre: o incorporano valori o ne condizionano la scelta e, con ciò, condizionano i contenuti delle politiche.
Affinché la democrazia sia efficiente da un punto di vista socioeconomico devono essere rispettati tre principi: deve esserci pluralismo sociale, una diffusa alfabetizzazione e assenza di diseguaglianze economiche estreme. A me sembra che dei tre principi perlomeno il primo e il terzo siano oggi in crisi e in linea con le affermazioni di Crouch e di Schumpeter.
Sundar Pichai, l’amministratore delegato di Google, ha guadagnato nel 2022 226 milioni di dollari. Una persona con uno stipendio di 70'000 franchi l’anno deve lavorare 3’228 anni per arrivare a quanto ha guadagnato in un anno Pichai. Naturalmente qui stiamo parlando di un caso estremo, tuttavia in Svizzera, in media, un amministratore delegato guadagna 134 volte di più del proprio dipendente medio, mentre questo rapporto era di circa 1 a 35 negli anni 70. È quindi evidente che la distribuzione della ricchezza non è rispettata come abbiamo visto nel precedente articolo.
Anche sul pluralismo sociale, i dubbi sono più che legittimi. Se andiamo a vedere i settori economici rappresentati in parlamento (di milizia) vediamo che la maggior parte sono liberi professionisti, politici di professione o rappresentanti di categorie ben definite (le famose lobby). Questo naturalmente non significa che non ci siano politici che svolgano il loro lavoro correttamente, ma le dinamiche generate dal sistema economico negli ultimi 40 anni non permettono più la dialettica politica necessaria a far funzione la democrazia e l’economia.
Come ha ben spiegato Andrea Ghiringhelli su questo giornale nell’articolo “Addio alle urne?” del 17 aprile, il sistema democratico – nel suo caso in Ticino, ma in forma più o meno simile in molti Paesi occidentali – è decisamente in crisi a causa di un crescente scollamento tra la base e la classe dei governanti. Se pensiamo che nella “più grande democrazia del mondo” – come si definiscono gli Stati Uniti – la corsa alla presidenziale ormai necessita di un budget attorno al mezzo miliardo, possiamo ben capire che il pluralismo sociale è una chimera.
Insomma, la conclusione sarebbe che oggi siamo governati da un sistema “neo-oligarchico” più che da uno democratico. Il politico dovrebbe preoccuparsi di implementare politiche economiche per il “benessere del popolo” e non di “rimanere in sella indipendentemente dalla direzione”. Il pericolo è un progressivo scollamento tra politica e cittadini e la crescita di estremismi populisti che inevitabilmente portano a delle rotture sociali ed economiche pericolose.