Qualcuno di autorevole ha detto che la politica è una cosa seria: ma quanti davvero lo sanno? A leggere ciò che i quotidiani scrivono viene da pensare che sono in pochi, in pochissimi.
Già, la politica dovrebbe essere una cosa seria. È l’arte del governare, la ricerca del bene comune come strumento per la realizzazione della vita buona e virtuosa delle cittadine e dei cittadini. Invece per molti, troppi, i partiti politici sono specchi in cui ammirare sé stessi, strumenti attraverso i quali raggiungere (spesso senza arte né parte, ma ben supportati da costose campagne pubblicitarie) una effimera notorietà. Lo si è visto per le recentissime votazioni cantonali e lo stiamo vedendo ora per quelle federali del prossimo ottobre. È di oggi («laRegione», 28 aprile ’23, p. 3) l’invito del “partito” HelvEthica Ticino ai piccoli “partiti” e agli indipendenti a incontrarsi «la sera dell’11 maggio a Pambio-Noranco». Per fare che? «Per conoscersi e in seguito approfondire le possibili alleanze tra noi in vista delle Federali del prossimo ottobre». Se ho contato bene i piccoli “partiti” che potrebbero riunirsi la sera dell’11 maggio (una data che, credo, non rimarrà nella storia) sono otto più un esponente della società civile. Basterebbe quindi, non dico una cabina telefonica (a trovarla!), ma un semplice locale. Ma cosa sono questi piccoli “partiti”? Su quali proposte politiche sono nati (su temi più vicini alla pancia che alla testa)? Da chi sono rappresentati? I piccoli partiti che hanno una loro storia nella Storia, una loro identità, hanno ovviamente subito declinato l’invito (vedi ad es. Matteo Pronzini), gli altri “andranno a sentire”. Naturalmente correranno all’appuntamento a cento all’ora i rappresentanti dei partitini ad personam, di recentissima formazione e che hanno per leader il loro stesso fondatore/trice fuoriuscito/a da un altro partito (o da più partiti). È il caso di MontagnaViva (Mattei), Dignità ai pensionati (Poggi), Avanti (Mirante) e Più Donne (Merlo): i «partiti del risentimento», li definirebbe il politologo e storico Giovanni Orsina, autore del bel volume, La democrazia del narcisismo, Marsilio, Venezia, 2018.
Nonostante tutto, nonostante mille difetti, i partiti cosiddetti storici – democraticamente strutturati attorno a una medesima visione, a una finalità politica di interesse pubblico, relativa a questioni fondamentali come la gestione dello Stato e della società o anche solo a temi specifici – ancora oggi mantengono la loro importanza. L’ha capito molto bene Elly Schlein, che sette anni dopo averlo abbandonato è «tornata nel Partito Democratico con umiltà» («La Repubblica», 12.12.22) per diventarne la Segretaria. Con merito.
Mentre sto scrivendo mi sorge una domanda semplice: possibile che questi leader non abbiano trovato un partito “storico” dove poter fare politica? Un partito in cui identificarsi non dico al 100% (non riuscirei nemmeno con me stesso), ma almeno all’80%? Eppure i partiti tradizionali in attività coprono tutto l’orizzonte politico: da destra a sinistra passando per il centro.
Oggi non si vota più per un partito, ma per un uomo o una donna, per un leader o una leader. Abbiamo imparato subito dalla “vicina Italia” (sintagma caro ai più) come fare: sono gli stessi politici a promuovere la propria immagine, a catturare l’attenzione del potenziale elettorato sulla propria persona piuttosto che sui programmi, quando ci sono. Ha ragione Zygmunt Bauman: la nostra è l’epoca del puro individualismo. Anche di Narciso. E allora buon incontro (sperando che il risotto sia al dente).