Il fenomeno elettorale – che premia più gli uomini delle donne – investe anche il Ticino e mette alla prova i partiti. C’entrano anche i media
La personalizzazione politica comporta, per definizione, un accento sulla persona, piuttosto che sul programma e sull’ideologia del partito. Ci sono almeno tre modi in cui tale fenomeno si esprime: il primo è quello dei media tradizionali, ossia attraverso una copertura personalizzata di giornali, radio e televisione; il secondo è quello dei candidati, che tendono a subordinare il fatto di rappresentare il proprio partito a quello di presentarsi come persone, mettendo in risalto la propria immagine e la propria personale proposta politica. Infine, c’è la personalizzazione del voto, ossia l’uso, in Ticino, del voto preferenziale e della scheda senza intestazione di lista. Quando guardiamo alla storia ticinese degli ultimi tre decenni, si può affermare che i tre tipi di personalizzazione sono cresciuti e si sono alimentati a vicenda. Quali vantaggi hanno tratto i partiti politici dalla personalizzazione politica? Quali, invece, gli svantaggi?
Quando nella seconda metà degli anni 80 crebbe la consapevolezza che il voto ticinese stava cambiando – si cominciò infatti a parlare di voto "di opinione" – e che diventava più incerto il destino dei partiti storici, la personalizzazione delle campagne e dei media era anche di là da venire. Poco dopo ci fu però un’accelerazione. L’erosione elettorale dei partiti storici, la scomparsa dei quotidiani di partito, l’arrivo del ‘Mattino della Domenica’ e della Lega aprirono una nuova fase. Partiti e candidati dovettero adattarsi e trovare nuovi modi di comunicare e proporsi agli elettori. Dalla metà degli anni 90 si cominciò a ospitare sui quotidiani le opinioni, gli annunci a pagamento con i visi dei candidati, mentre nuovi format televisivi diedero uno spazio inedito alla personalizzazione delle campagne elettorali ticinesi. Queste ultime diventeranno sempre meno un monopolio di confronto fra i partiti, in virtù di un nuovo protagonismo dei quotidiani, della radio, e soprattutto della tv; e favorito, ancor di più, in seguito, dallo sviluppo di Internet e delle reti sociali. I cittadini votanti, dal canto loro, si orientarono sempre più verso un uso del voto preferenziale, in particolare del panachage. La consolidata marginalità della scheda secca con intestazione di lista, ossia la scelta di un partito senza l’espressione di preferenze personali, testimonia di questa tendenza. Meno del 7% dei votanti ne ha fatto uso alle elezioni del Consiglio di Stato del 2019, in linea con le percentuali dei venti anni precedenti. A ciò si aggiunge quel 18-20% dell’elettorato che fa uso della scheda senza intestazione di lista, introdotta nel 2007.
Meno convinti che le ideologie possano smuovere l’elettorato nella società odierna, i partiti storici hanno puntato, volenti o nolenti, sulla popolarità dei propri candidati, ossia sulla loro attrattività verso l’esterno come compensazione, almeno in parte, dell’erosione del voto di lista che ha toccato tutti i grandi partiti negli scorsi anni. Da questo punto di vista la scommessa è finora vinta: i maggiori partiti si vedono regolarmente premiati dalla proporzione di voti conquistati rispetto alle schede di 3-5 punti percentuali alle ultime elezioni cantonali, per il governo e per il parlamento cantonali, come effetto del panachage e dei voti della scheda senza intestazione. È questo, certamente, un vantaggio della personalizzazione del voto per i maggiori partiti, molto meno per i piccoli, che in genere hanno candidati meno popolari, anche per effetto della copertura mediatica che, tendenzialmente, favorisce proprio le maggiori forze politiche. Anche se poi lo sviluppo di una strategia di opposizione può essere un vantaggio dal punto di vista della visibilità mediatica personale, anche per i rappresentanti dei piccoli partiti.
Per i partiti maggiori, l’evoluzione recente ha messo in luce come la personalizzazione comporti svantaggi non tanto alle elezioni quanto durante la legislatura. L’importanza dei voti preferenziali, incluso il bacino significativo di voti proveniente dalla scheda senza intestazione, accresce di fatto la legittimità personale rispetto a quella di rappresentante del partito, e riduce quindi la capacità dei partiti e dei loro gruppi parlamentari di convincere i propri eletti a seguire la linea del partito. Non stupiscono allora le fatiche dei gruppi parlamentari, su molti temi, nel trovare una linea e decidere in modo coeso. I limiti della personalizzazione non sarebbero forse tali se non avvenissero in una fase di indebolimento dei partiti, con una crescita della competizione interna per conquistarsi i minori seggi a disposizione e la necessità di compattarsi per contare in un parlamento vieppiù frammentato; per di più in un contesto in cui sono venuti meno, o si sono ridimensionati gli organi di comunicazione del partito, sono aumentate le difficoltà per i dirigenti (di milizia) dei partiti nello stare al passo con l’accelerato flusso dell’informazione odierna, con il rischio quotidiano di essere a rimorchio della comunicazione dei media e di quella dei propri eletti, perlomeno di quelli che contano di più. Insomma, la personalizzazione è una risorsa imprescindibile, sia per i grandi che per i piccoli partiti. Difficile farne a meno. Non senza alcuni effetti, non per tutti soddisfacenti, che si proiettano anche sulla prossima legislatura.
Le prossime elezioni del 2 aprile confermano la tendenza che dal 2003 vede una presenza in crescita costante delle candidature femminili alle elezioni del Gran Consiglio: dal 22,7 al 40%. Nelle ultime tornate elettorali, ad aumentare è stata anche la quota di elette, triplicata tra il 2007 e il 2019 (dall’11,1 al 34,4%). In che misura la personalizzazione politica può spiegare queste evoluzioni? Per rispondere all’interrogativo è utile tenere conto, da un lato, del ricorso da parte di elettori ed elettrici al voto preferenziale e, dall’altro lato, delle modalità con le quali candidati e candidate conducono le rispettive campagne elettorali.
Per quanto attiene all’utilizzo del voto preferenziale, i dati elettorali evidenziano due evoluzioni. Innanzitutto, le elette al Gran Consiglio raccolgono in generale meno voti personali rispetto agli eletti. La personalizzazione politica tende quindi a premiare maggiormente gli uomini rispetto alle donne. In secondo luogo, un’analisi legata alla provenienza dei voti preferenziali indica una crescita sensibile della quota di voti esterni raccolti dalle elette al parlamento cantonale, superiore nel 2019 a quella degli eletti. Allo stesso tempo, diminuisce in misura importante la parte dei preferenziali interni. L’aumento dei voti personali esterni non è tuttavia riconducibile in prevalenza alla scheda senza intestazione, quanto piuttosto al ricorso più diffuso al voto di panachage. Infatti, sono soprattutto i voti che le deputate hanno raccolto da elettori ed elettrici di altre liste di partito ad aver contribuito alla loro crescita in Gran Consiglio. A questo si aggiunge l’importante mobilitazione a sostegno delle candidature femminili che, stando alle inchieste d’opinione dell’Ovpr, ha visto le elettrici, molto più degli elettori, motivare la scelta di attribuire dei voti preferenziali alle candidate per aumentare la presenza femminile nel legislativo cantonale. Ciò che smentisce l’affermazione diffusa secondo la quale le donne non sostengono le donne.
La seconda forma attraverso la quale può esprimersi la personalizzazione politica è riconducibile agli strumenti utilizzati da candidati e candidate durante la campagna elettorale. Anche a questo proposito, la personalizzazione coinvolge meno le donne. Infatti, i dati Ovpr evidenziano come le candidate alle elezioni cantonali ticinesi tendano a ricorrere meno agli strumenti che possiamo definire più "individuali" e che, più di altri, permettono di promuovere e valorizzare anzitutto la propria candidatura: invio di lettere ai giornali, utilizzo dei manifesti murali e degli annunci a pagamento sulla carta stampata e partecipazione a programmi radiotelevisivi. Un ulteriore dato che possiamo interpretare come un indicatore della personalizzazione riguarda l’importo totale che i candidati e le candidate hanno investito nelle campagne elettorali; una campagna elettorale personalizzata può richiedere importanti risorse anche finanziarie. A questo proposito, i dati raccolti dall’Ovpr nelle scorse tornate elettorali evidenziano come la maggioranza delle candidate spenda una somma nulla o molto esigua (tra 0 e 250 franchi), mentre a fare altrettanto è solo una minoranza dei candidati. Fra gli uomini è inoltre maggiore la quota di coloro che spendono non meno di 2’000 franchi.
Per tornare all’interrogativo iniziale, la crescita delle elette al Gran Consiglio ticinese non può quindi attribuirsi prevalentemente alla personalizzazione, dal momento che essa ha sinora favorito soprattutto gli uomini. È verosimile che una personalizzazione politica ancora così poco "femminile" sia un effetto anche della minore visibilità mediatica delle donne alla quale comunque le candidate stesse, i partiti e i mezzi di stampa possono rimediare (e in parte già lo stanno facendo). Un altro elemento che potrebbe contribuire a colmare il divario tra candidate e candidati in termini di personalizzazione sarebbe una maggiore partecipazione elettorale delle donne, dal momento che – come rilevato dalle inchieste d’opinione – sono soprattutto le elettrici a ritenere molto importante esprimere dei voti preferenziali a sostegno delle candidate.
I due autori sono attivi all’Osservatorio della vita politica regionale dell’Università di Losanna (www.unil.ch/ovpr), ente di ricerca frutto di una collaborazione con il Canton Ticino. Per approfondire il tema, si vedano, fra gli altri, ‘Personalizzare la politica. Le elezioni cantonali del 2007’ e ‘Partecipazione, partiti, personalizzazione e temi. Le elezioni cantonali ticinesi del 2015’.