È sempre ancora controversa a Berna la ridefinizione del reato di coazione sessuale (art. 189 CP) e di violenza carnale (art. 190 CP). Per il secondo è prevista la nozione più generica di "penetrazione corporale" per tener conto anche delle vittime di sesso maschile e delle penetrazioni non vaginali. Non sarà più possibile infliggere pene pecuniarie. Il progetto introduce poi una graduazione della gravità del reato a seconda delle modalità con cui viene perpetrato. Ma il pomo della discordia riguarda lo stupro: tra le due Camere sussiste una divergenza di approccio in merito alla questione del consenso. Durante la scorsa sessione invernale la Camera del popolo aveva optato per la soluzione del consenso esplicito ("solo sì significa sì") con una maggioranza piuttosto risicata, mentre la Camera dei Cantoni sei mesi prima si era espressa a favore del principio "no significa no". Quella sostenuta dal Consiglio nazionale è invero una soluzione solo apparente perché troppo schematica: non tiene conto delle circostanze particolari di ogni singola fattispecie e rischia di deludere le stesse vittime. È illusoria la pretesa pianificabilità di atti sessuali soprattutto in una relazione di coppia, dove lo scambio di effusioni non è detto che sfoci sempre in un rapporto sessuale completo. E anche quando è il caso, raramente l’atto viene precedentemente autorizzato da un’esplicita dichiarazione di consenso. Quindi se in una successiva lite tra partner con rottura della relazione, proprio quello stesso rapporto sessuale viene brandito come arma per regolare i conti o come mezzo di pressione per altri fini? La maggioranza del Consiglio nazionale è animata dalla volontà di tutelare soprattutto quelle vittime che, a causa della paura, non riescono a esprimere il loro rifiuto per un blocco psicologico, dovuto per esempio all’effetto sorpresa. L’intenzione è lodevole e degna del massimo rispetto, anche se stando agli specialisti (psichiatri e psicologhi) solo un numero ristretto di donne si ritrova in quella situazione di paralisi, detta anche "freezing", che impedisce loro completamente di opporsi anche solo a parole o gesti. Proprio per tener conto anche di questi casi, la Commissione giuridica degli Stati ha previsto nelle scorse settimane di menzionare espressamente anche lo sfruttamento dello stato di shock (e della conseguente immobilità tonica) nella definizione dei reati di coazione sessuale e violenza carnale. Ma per tutti gli altri casi la soluzione proposta del Consiglio nazionale sembra trascurare il fatto che la sessualità è un fenomeno molto più complesso di quanto si possa credere e non funziona sempre come un contratto. Tra partner che si frequentano da tempo (conviventi o meno) appare del tutto irrealistico pretendere che l’atto sessuale sia sempre preceduto da un’esplicita e concorde manifestazione della volontà, insomma da un sì espresso. Anzi: la varietà delle emozioni e degli stati d’animo che precedono l’intimità di un rapporto sessuale è talmente articolata da relativizzare persino la portata di un sì, che non può diventare un lasciapassare se viene seguito da un repentino ripensamento e quindi da un rifiuto. In qualsiasi momento deve essere possibile interrompere unilateralmente i cosiddetti preliminari (o il rapporto completo stesso) se improvvisamente, e per qualsivoglia ragione, viene meno il consenso di una parte. E proprio sotto questo aspetto la cosiddetta soluzione del consenso esplicito potrebbe rivelarsi controproducente per le stesse vittime. Qualcuno potrebbe infatti credersi legittimato a portare a termine i suoi propositi in virtù di un sì precedente che poi viene ritrattato. È vero che il cambiamento di paradigma del Consiglio nazionale non va sopravvalutato ai fini pratici. Ma dal profilo delle garanzie processuali dello Stato di diritto l’opzione del consenso esplicito desta qualche perplessità, anche sotto l’aspetto dell’inversione dell’onere della prova e della presunzione di innocenza. Sarà l’accusato a dover dimostrare il consenso della vittima (probatio diabolica se non è stato espresso esplicitamente)? Non sarà quindi più il Ministero pubblico a dover provare che l’atto sessuale è avvenuto contro la volontà della vittima? Cosa deciderà la Corte giudicante in caso di dubbio? Varrà "in dubio contra reum"? Sono tutte criticità che la soluzione della Camera dei Cantoni eviterebbe. Vi è quindi da augurarsi che alla fine prevalga la soluzione del Consiglio degli Stati. Un’analoga riforma del diritto penale sessuale in Spagna, varata l’anno scorso dalla ministra per le pari opportunità Irene Montero, strenua fautrice della soluzione "solo un sì è un sì", sta già creando forti tensioni all’interno della coalizione di governo, a causa degli effetti indesiderati della nuova legge.