Chi assume compiti educativi, chi lavora nella scuola, chi insegna… sa quanto la qualità della relazione umana sia condizione determinante del processo formativo e sa bene quanta responsabilità etico-deontologica gravi sulle spalle del docente nell’assicurare (in classe e fuori, sempre, nel rapporto con i giovani allievi) una relazione sana, vincolata ai principi del rispetto della persona. Ciò che la stampa ha reso pubblico sul caso del direttore di scuola media accusato di "atti sessuali con fanciulli" (reo confesso e già dimissionato) ferisce dolorosamente, in primo luogo, proprio il mondo della scuola. Il rammarico che ne consegue mette a nudo fragilità mai sufficientemente considerate, mai sufficientemente soppesate nel mandato professionale dell’insegnante.
Nel caso specifico è probabilmente meglio astenersi da giudizi perentori ma è sacrosanto denunciare la gravità dei fatti e aprire un canale d’ascolto nei confronti della sofferenza (e del risentimento) di allievi, famiglie e colleghi.
Sarebbe anche doveroso sapere ammettere sottovalutazioni e responsabilità magari involontarie: cosa che riesce difficile ai vertici del Decs, i quali mai hanno brillato per doti empatiche e capacità autocritiche. Da subito abbiamo assistito a uno smarcamento formale. Il Dfa? "Le scelte nel lavoro per l’abilitazione sono responsabilità esclusiva del docente". Il Dipartimento? "Non abbiamo mai ricevuto nessuna segnalazione in merito".
Il caso, come è ovvio, è specifico e peculiare. È giusto affrontarlo in primo luogo come episodio di rilevanza penale all’interno dell’indagine che la magistratura ha avviato e che avrà conseguenze sia penali sia amministrative. Ma se riuscissimo per un istante a staccarci dalla sciagurata contingenza, potremmo allora cogliere l’occasione per allargare lo spettro riflessivo a dimensioni più generali: per esempio ai percorsi di formazione degli insegnanti, alle procedure d’attribuzione dei mandati direttivi, alla complessità attuale (nonché all’ambizione) del compito educativo.
In quest’ottica almeno tre aspetti meritano attenzione.
Il primo. La persona incriminata ha ottenuto il diploma professionale pochi anni fa (2018) e ha poi velocemente salito i gradini della "carriera" scolastica: nel breve volgere di un quadriennio è stata dapprima nominata vicedirettore, e poi, pochi mesi fa, direttore. Il suo lavoro di diploma, ‘Odi et amo – Alla scoperta dell’affettività e della sessualità attraverso la letteratura classica’ (che a posteriori può apparire premonitore di un interesse sospetto), sembra trovare legittimazione negli indirizzi pedagogico-didattici preconizzati dal "Piano di studi della scuola dell’obbligo ticinese". Non a caso nell’abstract che lo presenta si può leggere: "Il nuovo Piano di studio e le nuove direttive per l’educazione sessuale stabiliscono che l’educazione all’affettività e alla sessualità, inserita nel contesto di formazione generale "Salute e benessere", non sia più di esclusiva responsabilità del docente di sciente naturali, bensì avvenga in maniera interdisciplinare, in e per mezzo di tutte le materie di studio".
Ovviamente sarebbe un’idiozia anche solo accennare ai nuovi indirizzi come indirettamente corresponsabili dell’accaduto, ma ci si può chiedere invece se, in un malinteso impeto di trasversalità educative, sperimentare proprio a latino (materia che avrà sempre a che fare con un gruppo ristretto di allievi) l’"educazione all’affettività e alla sessualità" potesse considerarsi un ambito d’intervento privilegiato. Anche perché nella fattispecie una cosa è certa: ogni disciplina, quando se ne presentasse l’occasione, deve convintamente dare il suo contributo, ma mai – dicasi mai – dovrebbe creare artificiosamente occasioni per affrontare questi temi. È un principio semplice che forse nella formazione dell’insegnante sarebbe stato opportuno ribadire con forza.
Il secondo. È legittimo chiedersi quali procedure si seguano per la designazione di un insegnante alla direzione di un istituto. Per le promozioni professionali non basterà di certo appurare che il/la candidato/a sia ufficialmente allineato alle direttive vigenti (magari anche acriticamente sussunte). Oggi sappiamo che alcune segnalazioni di genitori, ma anche di altre componenti scolastiche, avevano già individuato nelle forme e nei modi del suo insegnamento del latino un interesse sospetto per la sessualità adolescenziale. Sembrerebbe che queste segnalazioni non abbiano superato la soglia dell’istituto. Ne consegue, secondo logica, che il caso evidenzia un’imbarazzante distanza fra le autorità dipartimentali e la vita degli istituti scolastici.
Varrà allora la pena ricordare che la Legge della scuola prevede, al titolo "Conduzione degli istituti scolastici" (LS, art. 25, cpv 2), due organismi: la direzione e il collegio dei docenti. È troppo chiedere che nella promozione a responsabilità direttive, nel nome di un briciolo di partecipazione democratica, sulle candidature si senta anche il parere interno dei colleghi? Il Decs preferisce avocare a sé questo impegno, procedendo con incarichi attribuiti direttamente dall’autorità superiore. Ma sulla base di quali criteri? Raccogliendo quali informazioni?
Si sa pure che la funzione direttiva non è più molto ambita ("era l’unico concorrente") e ci si potrebbe chiedere il perché di questa scarsa attrattiva (sia mai che l’ambizione personale possa bastare!). Non ci sarebbe da riflettere sulla progressiva mortificazione dello statuto intellettuale e culturale dell’insegnante nonché sull’inversamente proporzionale aumento del carico amministrativo e funzionariale di chi una scuola è chiamato a condurre?
Il terzo. Nel corso degli ultimi decenni, la scuola dell’obbligo ha ambiziosamente ridefinito i suoi mandati in piani di studio che oggi elencano una pletora di principi di competenza, spaziando dagli ambiti disciplinari a quelli trasversali e generali, con un occhio di riguardo alle cosiddette life skills. Sia chiaro che la pratica didattica, da sempre, porta con sé modelli e valori che travalicano l’esercizio conoscitivo in senso stretto. Sia chiaro anche che non si tratta qui di mettere in discussione la necessaria attenzione rivolta alla sessualità e all’affettività. Ma oggi vi è un’innegabile enfasi celebrativa che promuove queste dimensioni tanto nella formazione degli insegnanti quanto in quella degli allievi. Abbiamo costruito una scuola che punta a intervenire virtuosamente nell’ambito delle relazioni, delle emozioni, dei "saper essere", dei comportamenti personali. Una scuola che collocando queste dimensioni in uno spazio inter- trans- meta- disciplinare ha pensato di poter definire in termini di "competenza" anche l’"apprendimento dei valori fondamentali dell’esistenza" (sic! - Piano di studi della scuola dell’obbligo ticinese, p. 21).
Vale la pena chiedersi allora quanta distanza esista in verità tra le impegnative dichiarazioni dei piani di studio e le reali possibilità d’intervento pedagogico. C’è il rischio che alcune indicazioni reboanti vengano travisate e portino a realizzazioni insulse? Quali e quanti mandati educativi va assumendo oggi la scuola, e in particolare la scuola dell’obbligo? Quali risorse e quali possibilità ha per assumere davvero le responsabilità formative che progressivamente va dichiarando di assumere?