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Educazione sessuale: le regole ci sono, basta applicarle

Per chi insegna è inopportuno indossare i panni dell’amico per accattivarsi le simpatie degli allievi. La sua comunicazione deve essere priva di ambiguità

Studenti liceali
(Ti-Press)

Torno sui fatti contestati al direttore e insegnante di latino presso una sede di scuola media del Luganese, sotto inchiesta per atti sessuali con fanciulli. Perché, senza volermi sostituire alla giustizia, ritengo che non vi sia nulla di peggio dell’abbassamento della guardia nel caso di argomenti sensibili come quello citato nel titolo: l’educazione sessuale. Il mio scopo è di sostenere la tesi seguente: molte ‘buone’ regole sono già state scritte nel passato, talvolta è sufficiente applicarle.

L’insegnamento è una questione seria

La relazione insegnante-allievo è verticale e si costruisce attorno al reciproco riconoscimento delle differenze di ruoli istituzionali. Compito del docente è di imprimere delle tracce nella mente di chi apprende, trasmettendo con rigore, non soltanto sapere e concetti, ma soprattutto il suo stile di pensiero, il suo metodo e il suo amore per la materia. L’atto dell’insegnare contiene in sé elementi quali la trasmissione di un modello di approccio alla realtà nonché un luogo di identificazione che rimane spesso indelebile nel corso della vita. Per l’insegnante cosciente del proprio ruolo, è inopportuno indossare i panni dell’amico per accattivarsi le simpatie di allievi spesso fragili e insicuri poiché immersi in una fase di sviluppo caratterizzata dalla ricerca di approvazione e riconoscimento. Non è certo questo il modo di affrontare seriamente l’insegnamento e i disagi psicologici degli adolescenti i quali hanno il diritto sacrosanto di trovare amici soprattutto tra i loro pari.

La formazione dei docenti

Gli addetti ai lavori in materia di abilitazione, oltre a sondare le competenze specifiche, dovrebbero tenere in considerazione gli aspetti personologici dei futuri insegnanti e, al primo segnale di instabilità caratteriale, decidere per l’interruzione della procedura mettendo in atto misure protettive quali, ad esempio, una supervisione condotta da specialisti. Anche all’interno delle singole sedi, a tutti i livelli scolastici e in modo costante, la supervisione dovrebbe costituire un punto focale della formazione continua al fine di mantenere alta l’attenzione rivolta ai temi più sensibili, soprattutto quando a essere in gioco è la salute psicologica delle/degli allieve/i.

A dimostrazione di quanto sia vitale il tema della supervisione nell’ambito dell’educazione sessuale, nel 2016 il gruppo di lavoro per l’educazione sessuale nelle scuole ticinesi (Gles) pubblica un documento in cui presenta un modello che prevede il sostegno e la supervisione dei docenti da parte di persone specificamente formate o la possibilità di avvalersi della collaborazione di specialisti esterni, senza dimenticare il contributo del docente di sostegno pedagogico. Lo stesso documento, inoltre, elenca funzioni e responsabilità dello specialista (accompagnamento del docente e del progetto, collaborazione con i docenti, coinvolgimento dei genitori). Dal canto suo il Dipartimento educazione cultura e sport, consapevole della delicatezza con cui va trattata l’educazione sessuale, esorta le singole sedi a porre l’accento sui temi del controllo di qualità e della professionalità, consigliando di fare riferimento anche a servizi e associazioni autorevoli in materia.

Ho letto la tesi finale del docente in questione e ho tristemente assunto che, di quanto appena esposto a proposito di supervisione e controllo della qualità, rimangono ben poche tracce; soprattutto nel capitolo conclusivo, dove lo spazio consacrato ai pregi dell’esperienza è di gran lunga superiore a quello dei difetti. Molti elementi raccolti nella citata tesi che avrebbero potuto fungere da controllo sono stati snobbati. Un esempio: dopo avere preso atto con stupore delle numerose domande formulate dalle famiglie, l’estensore afferma che da queste "traspariva una palese disinformazione in merito al nuovo Piano di studio e alle nuove raccomandazioni operative per l’educazione sessuale, nonché una grande acredine nei miei confronti". Soltanto al termine dello stesso paragrafo appare un mea culpa volto a fare tesoro dell’esperienza, proponendosi, in caso di riedizione, di non commettere più gli stessi errori. Il tentativo di autocritica sorvola su un punto già messo in evidenza dal Gles il quale, sotto il titolo "Rapporto scuola-famiglia", raccomanda a ogni sede scolastica di informare i genitori su come intende affrontare l’educazione sessuale, dove è chiaro che l’informazione debba precedere l’attuazione del progetto educativo.

L’inconsistente accusa di ‘palese disinformazione’ rivolta alle famiglie non necessita di ulteriori commenti! Qualche interrogativo, peraltro, sorge alla lettura dell’affermazione riferita all’esito dell’incontro con i genitori: "Con il sostegno e la partecipazione della direzione, dei colleghi coinvolti nel progetto e della mia relatrice è stata organizzata la serata informativa (…) con esito molto positivo", nessuno dei quali – aggiungo – sembra che fosse consapevole dell’importanza dell’informazione e del coinvolgimento dei genitori nella fase di strutturazione del percorso educativo. Nessuno può affermare che i fatti successivi non si sarebbero verificati se fosse stata rispettata la procedura indicata, ma è plausibile pensare che le perplessità espresse dalle famiglie avrebbero permesso di rimaneggiare o, addirittura, abbandonare il progetto. Le regole esistevano ed erano chiare: sarebbe stato sufficiente applicarle!

Modernità e insegnamento

Insegnare è una questione seria, soprattutto all’interno di una modernità che tende a stravolgere e impoverire valori quali conoscenza, amicizia e rispetto, nonché a confondere le generazioni. I giovani tendono infatti a crescere in fretta e a vivere precocemente esperienze determinate dalla spinta feroce di un mercato che individua in loro un potenziale commerciale allettante. Ma si tratta di un’accelerazione che impedisce all’adolescente di vivere esperienze significative al momento giusto, apre le porte a crisi identitarie osservate sempre più frequentemente e che possono sfociare in patologie ben più gravi. D’altro canto, i meno giovani, sotto la spinta di una propaganda altrettanto feroce che mira a far sentire vecchio anche chi non lo è, tendono a non accettare i normali processi della vita e a ridicolizzare sé stessi utilizzando perifrasi ebeti quali, ad esempio, l’abusata "diversamente giovani".

Inoltre, tanto tra gli adulti quanto tra i giovani, impera l’utilizzo di termini che, ancor prima di pronunciarli, meriterebbero maggiore riflessione e considerazione (come ad esempio ‘cuore’ e ‘amore’). Non lamentiamoci, quindi, se i giovani danno l’impressione di prendere sottogamba argomenti quali gli affetti, le emozioni e l’amore, nonché di avvicinarsi alla vita sessuale con eccessiva disinvoltura! È lecito, però, riflettere sull’operato di chi, sbandierando l’obiettivo di educare i giovani alla vita affettiva e sessuale, invece di pretendere da loro uno studio rigoroso della materia insegnata, camuffa la propria ambizione personale con i panni di una saggezza ancora tutta da dimostrare.

Una professione impossibile?

Insegnare significa "umanizzare" l’allievo, fornendogli le basi affinché diventi un cittadino consapevole, capace di pensare in modo critico e autonomo. Il rapporto insegnante/allievo deve certamente essere aperto, ricettivo e critico ma, allo stesso tempo, deve essere antagonista di una volontà dilagante e superficiale manovrata da chi certamente non pensa al benessere dei giovani.
Sempre di più assistiamo a un impoverimento del pensiero profondo, conseguenza di un utilizzo sconsiderato di social media che hanno progressivamente sostituito carta, penna e, in generale, un linguaggio appropriato e una scrittura corretta. E questo accade a vari livelli: da un lato, nell’incapacità di entrare in un rapporto empatico ma costruttivo con l’Altro; dall’altro, nella difficoltà di entrare in rapporto con la propria vita interiore. Da ciò deriva tanto l’incapacità di "leggere" le situazioni a rischio (alle quali spesso le/gli adolescenti si espongono) quanto l’incapacità di riconoscere anche il disagio di sé stessi.

Compito dell’insegnante, pertanto, è quello di rimettere al centro della sua azione una comunicazione seria e riflessiva che non lasci scampo ad ambiguità o, peggio, apra le porte a "confessioni" intime da parte degli allievi che – in mancanza di una formazione specifica nell’ambito della psicologia dinamica – non riuscirà a gestire o di cui, nella migliore delle ipotesi, non saprà che cosa farsene.

Evitare confusione e disorientamento

I giovani hanno bisogno dell’aiuto dell’adulto, ma è necessario riflettere circa le migliori modalità d’approccio affinché, proponendo un modello di relazione fuorviante, non si produca l’effetto contrario, ovvero confusione e disorientamento per quanto riguarda le competenze relazionali in futuro. Giocare a fare gli amici alla ricerca di un rapporto impossibile è decisamente fuori luogo e, soprattutto, diseducativo. Se non si chiarisce questo punto, i confini tra l’arte della parola e la manipolazione rischiano di confondersi. Pur ammettendo che tali inconfessabili fantasie possano, in alcuni casi, trovare posto in modo sottile nei pensieri di un insegnante agli inizi o nel volgere della sua carriera, non è certamente puntando su modelli forniti dalle psicologie cognitivo/comportamentiste che si riuscirà a considerare seriamente i rischi ai quali, sempre di più, questi vengono esposti. In questo senso, gli aspetti della modernità sottolineati sembrerebbero giustificare l’ipotesi che l’insegnante vada a tutti gli effetti considerato come un professionista a rischio, soprattutto per quanto riguarda la gestione della sua stessa vita emotiva e della sessualità.

Il Decs, all’interno del "Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese", è molto in chiaro sulla necessità che la scuola debba adeguarsi alle trasformazioni della società. Si legge, infatti: "Negli scorsi decenni la società ha subito evoluzioni importanti e la scuola non può non tenere conto delle necessità formative che ne derivano. L’acquisizione di informazioni o di saperi non è più sufficiente; sempre di più gli allievi si trovano confrontati con situazioni complesse (…) l’allievo dovrebbe sempre essere in grado di utilizzare e sfruttare quanto acquisito in classe anche al di fuori del contesto scolastico in situazioni diverse, complesse e non sempre prevedibili". La citazione, pur sottolineando l’importanza dell’esportabilità delle acquisizioni in situazioni complesse e non sempre prevedibili, concentra l’attenzione sul modo di apprendere degli allievi, ma non fornisce indicazioni sui cambiamenti a cui è esposto il docente e, soprattutto, sulle misure di protezione da mettere in atto in situazione di crisi personale. Non è più sufficiente fare ricorso a cellule di crisi in appoggio ai docenti in difficoltà, mirate al burn-out, allo stress o al mancato riconoscimento della funzione. È opportuno che l’educazione all’ascolto della propria vita interiore venga immaginata già a partire dalla formazione di base dei futuri docenti i quali, seppure bene equipaggiati sul piano delle conoscenze specifiche, non lo sono su quello delle conoscenze psicologiche applicabili tanto agli allievi quanto a sé stessi.

Il modello psico-dinamico

Purtroppo, da molti anni il mondo dell’educazione sembra avere voltato le spalle al modello psico-dinamico, puntando su una pedagogia mirata all’apprendimento per competenze, allontanandosi pertanto dall’idea che insegnare è soprattutto un mestiere sociale in quanto implica tanto la capacità di gestione della relazione con l’Altro quanto un’approfondita conoscenza di sé. Un ritorno al modello psico-dinamico nella formazione di base degli insegnanti, permetterebbe – se non altro – di comprendere che "un conto è conoscere il nuoto, un altro è saper nuotare".