Di lei, gli oppositori dicono che è inutile, estrema e dannosa; "un’offesa al mondo agricolo elvetico" o addirittura dicono che ci "lascerà senza cibo". Stiamo parlando dell’iniziativa contro l’allevamento intensivo.
Il Consiglio federale (Cf) in risposta a una mozione dei Verdi del 2020 per limitare l’impatto sul clima del consumo di carne, scriveva: "Dal sondaggio nazionale sull’alimentazione menuCH si evince che la fascia di età dai 18 ai 75 anni consuma in Svizzera in media 780 grammi di carne alla settimana, una quantità più di tre volte superiore a quella raccomandata. Se la popolazione svizzera si nutrisse secondo le raccomandazioni della piramide alimentare svizzera e consumasse al massimo 100-120 grammi di carne da 2 a 3 volte alla settimana, contribuirebbe così alla salute come pure agli obiettivi delle diverse strategie nei settori dell’ambiente e del clima come pure dell’Agenda 2030. In tal modo si potrebbe anche ridurre del 70 per cento circa l’impatto ambientale causato dal consumo di carne e di pesce e del 20 per cento circa l’impatto ambientale complessivo generato dall’alimentazione".
Basterebbero queste parole del Cf per rendere evidente che produrre meno prodotti animali senza doverli compensare con prodotti d’importazione va a vantaggio e non a danno della nostra salute e di quella dell’ambiente. Quello che sembra mancare è la volontà politica.
Per quanto riguarda i presunti danni al mondo agricolo, invece, è utile sapere che l’iniziativa per la quale voteremo, tocca solo 3’300 delle ca. 50’000 aziende agricole svizzere. Ebbene, questo 6,6% di aziende – che per inciso ha ben 25 anni per adeguarsi alle richieste dell’iniziativa – è composto soprattutto da grandi aziende che praticano economia di scala (cioè di carattere industriale/intensivo) per abbattere i costi di produzione, proprio come fanno le aziende estere delle quali importiamo i prodotti a basso costo. Pertanto, le piccole aziende non subiscono solo la concorrenza dei prodotti esteri, ma anche quella di queste 3’300 aziende svizzere. Se le piccole aziende e i posti di lavoro nel settore agricolo stanno pian piano sparendo è proprio perché correndo dietro ai prezzi più bassi, si manda "fuori mercato" le piccole aziende a vantaggio di quelle grandi.
Pertanto, se gli oppositori dell’iniziativa avessero veramente a cuore le piccole aziende a conduzione familiare, inviterebbero cittadine e cittadini a pagare con riconoscenza il prezzo giusto dei prodotti alimentari da loro prodotti e non certamente il prezzo più basso. Dall’altra inviterebbero anche agricoltrici e agricoltori a richiedere con fiducia il prezzo giusto per il loro indispensabile lavoro, in modo da darsi il riconoscimento monetario adeguato a reggere il mercato con soddisfazione e non a rischio burnout o abbandono. Ma si sa, in certi ambiti il valore del lavoro è da "abbattere" e così il mondo agricolo – e non è il solo – deve essere sussidiato dallo Stato (tanto vituperato da certi) e costretto ad avere lavori accessori per sbarcare il lunario.
Un Sì convinto per valorizzare – nel rispetto degli animali – la nostra salute, il lavoro del mondo agricolo e l’ambiente.