L’appello del presidente del Consiglio uscente alla volontà popolare nel suo discorso al Senato gli è valso un’accusa assurda
L’Italia vanta eccelsi filosofi politici. Eppure oggi, nonostante cotanti maestri, buona parte dei detentori del Potere politico sembra aver perso la testa. Infatti, non solo ha costretto Mario Draghi (il bravo dei bravi) ad andarsene, ma gli rimprovera di aver fatto riferimento al Popolo nel suo ultimo intervento in Parlamento: "Sono di nuovo qui perché l’ha voluto il Popolo" e "se dobbiamo continuare assieme, ditelo al Popolo, non a me". Quindi, Draghi populista! È bastata questa "trovata" di un giornalista a La7, poche ore dopo la fatale votazione ("l’Italia tradita" titola la Repubblica), per adombrare anche sulla bocca di persone di indubbio valore, persino del prof. Mario Monti, la competenza politica del "super Mario", pur riconoscendo che era e rimane il migliore di tutti, per cui solo una briciola di orgoglio ha potuto fuorviarlo. È assurdo, è misconoscere il funzionamento delle Istituzioni democratiche. Ecco perché.
È noto che lo Stato è nato per un impellente bisogno collettivo di Giustizia (la vendetta per evitare i conflitti collettivi); l’arbitrato e l’arbitro per evitare la scalata della vendetta; prima facoltativi, poi, visti i buoni risultati, imperativi; prima saltuari, indi stabili: l’embrione dello Stato, dal quale, a seguito dei nuovi compiti conferitigli gradatamente dallo sviluppo economico e sociale, è scaturito lo Stato moderno. Quindi un trasferimento (un mandato) parziale, condizionato e sorvegliato dei diritti naturali dei cittadini (del Popolo) allo Stato, "per essere meglio", secondo la teoria di John Locke (per Voltaire, "forse, non ci fu mai spirito più saggio") e non un trasferimento totale, assoluto e irreversibile, come nel "Leviathan" di Thomas Hobbes, il quale presuppone il "despota illuminato", che fatalmente diventa il tiranno. Quindi il Popolo permane sovrano, ma, per rimanere tale, deve poter intervenire ancora, non soltanto con elezioni, ma anche, e direi soprattutto, con l’appello, la sottoscrizione, la campagna di stampa e, quando la legalità si scosta troppo dalla legittimità, il referendum e l’iniziativa, talvolta anche la piazza, infine, quale ultima ratio, l’insurrezione.
Nel caso in esame, in un momento particolarmente difficile economicamente, socialmente e politicamente, Draghi ha accettato di assumere la carica di presidente del Consiglio a condizione di poter contare sul sostegno di una "coalizione di quasi unità nazionale", con la quale ha poi superato duri ostacoli e conseguito importanti risultati strategici. Però, molto di molto importante rimane da fare; in particolare portare a termine tempestivamente le riforme intraprese, condizione "sine qua non" per poter ottenere i cospicui aiuti concessi da Bruxelles all’Italia, allo scopo di riformare e far ripartire la sua economia su nuove basi, nell’interesse di tutti, perché "l’avvenire dell’Italia è l’avvenire dell’Europa", secondo l’Istituto di studi politici di Parigi.
A metà di questo mese Draghi, constatato che detta coalizione si era irrimediabilmente sfasciata, per cui il compito affidatogli non poteva più essere portato a termine, ha rassegnato le dimissioni. Tuttavia il presidente della Repubblica On. Sergio Mattarella non le ha accettate e, nella speranza che la coalizione potesse ricomporsi, ha invitato Draghi a ritornare in Parlamento per porre la fiducia. Ciò che Draghi ha fatto. A quel momento si sono levati appelli, sottoscrizioni da parte di enti pubblici (i Sindaci in mille) e di associazioni pubbliche e private, affinché tutti i Partiti della coalizione prendessero coscienza delle gravi conseguenze derivanti dalla crisi che avrebbe potuto generare la partenza di Draghi.
E non è tutto, perché – è il prestigioso Le Monde che lo scrive – "la folle giornata in Parlamento di mercoledì 20 luglio rischia una inquietante destabilizzazione per la zona euro e per l’Unione europea tutt’intera"; non solo, ma, considerate le ripercussioni dirette e indirette che potrebbe avere anche sulla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, è tutto l’Occidente (nel quale anche noi siamo) che potrebbe soffrirne. Non per nulla agli appelli nazionali dei quali si è detto sopra si sono uniti quelli di Bruxelles, di Governi dei 27 Stati dell’Unione europea e della Casa Bianca: probabilmente una prima in Occidente.
In queste condizioni, il riferimento di Draghi al Popolo, come potrebbe ragionevolmente essere considerato populismo? Questo specie se si considera che non è Draghi che ha interpellato il Popolo, ma è una spontanea reazione del Popolo e di chi nell’Occidente ha a cuore la nostra Civiltà, di fronte al pericolo che rappresentano "le formazioni (Lega e 5 stelle) dal pesante passato di compiacimento con Vladimir Putin", è sempre Le Monde che scrive. E non è ancora tutto, perché Draghi doveva pur dire perché, nonostante le sue dimissioni, sia tornato in Parlamento, ossia "perché l’ha voluto il Popolo" e il Presidente Mattarella, guardiano della Costituzione.
Però, dicono certi "onorevoli" sostenuti da certi opinionisti e giornalisti: "Draghi, riferendosi al Popolo, ha offeso il Parlamento in una Democrazia rappresentativa". Ma il Parlamento, di fatto, non esisteva più (era ridotto a "un balletto di irresponsabili", come lo ha definito il commissario europeo Paolo Gentiloni) a seguito dello scioglimento della "coalizione di quasi unità nazionale", costituita appositamente per permettergli di funzionare nonostante i dissidi tra Partiti e nei Partiti. A parte questo il Parlamento non è sovrano (solo durante le Rivoluzioni l’Assemblea è "Leviathan"), ma "submandatario", come gli altri due Poteri (lo Stato infatti, come si è visto, è mandatario dei cittadini – del Popolo – e mandante dei tre Poteri, Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, è Locke che lo dice). Ne segue che i rapporti fra i tre mandatari non sono né subordinati a uno di essi (al Parlamento, ossia al Legislativo), né un muro contro muro, in quanto per governare, fatalmente, devono interferire l’uno con l’altro, purché sia rispettata la separazione dei Poteri. Di conseguenza, di fronte a una situazione considerata da tutti, indistintamente, disastrosa (esplosiva, dice la stampa estera) il Popolo poteva e doveva intervenire, ciò che ha fatto, ma anche Draghi poteva e doveva (così come il Parlamento può e deve muovere obiezioni all’Esecutivo) sottolineare l’intervento del Popolo alla "coalizione di quasi unità nazionale" e "al resto", ossia ai Fratelli d’Italia, sperando di riportare la Ragione in Parlamento.
Però, tuona il pittoresco deputato di quest’ultimi, on. La Russa, con quella voce da "Caron Demonio": "Mille Sindaci non sono il Popolo". Certo. Allora, però, neppure una risicata percentuale di cittadini partecipanti a una votazione è Popolo. Inoltre occorre tener conto del breve tempo e delle modalità con cui "i mille" hanno potuto firmare la sottoscrizione proposta da Matteo Renzi. Né è possibile dimenticare che la reazione è stata non solo quella dei Sindaci, non solo quella Popolo italiano, ma che si è trattato di uno shock per tutto l’Occidente, così termina Le Monde. L’Occidente (!): ci siamo anche noi, ripeto.