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Energia elettrica, i nodi vengono finalmente al pettine

La strategia energetica 2050 della Confederazione si rivela utopica. Urge ripensarla con un mix di rinnovabili e nucleare

L’opinione di Piero Marchesi, presidente Udc Ticino (Ti-Press)

Quando nel 2017 si votò sulla Strategia energetica 2050, il progetto che prevedeva l’uscita dal nucleare con la sua completa sostituzione con energie rinnovabili, l’Udc – unico partito a opporsi – aveva chiaramente evidenziato che saremmo andati incontro a seri problemi di approvvigionamento e di sicurezza della rete elettrica del nostro paese. Sono passati solamente quattro anni e le nostre previsioni si stanno purtroppo verificando nella forma più estrema.

La Consigliera federale Sommaruga, di fatto ammettendo il fallimento della Strategia energetica 2050, ha recentemente messo in consultazione un progetto per prolungare la durata di vita delle centrali nucleari. Diversi specialisti del settore hanno confermato che il nostro paese ha un serio problema, gettando parecchie ombre sulla reale applicabilità dell’uscita dal nucleare. Giovanni Leonardi, Presidente Aet e tra i più esperti del settore elettrico del paese, dalle colonne del Cdt ha affermato che “da una parte abbiamo la politica e la società che chiedono più energia elettrica per gli ambiti del trasporto e del riscaldamento, facendo così aumentare il consumo di energia. Dall’altra, però, la politica spegne il nucleare e il carbone, proponendo la loro sostituzione con energie rinnovabili. Ma questa equazione – sostituire energia «invernale» con energia «estiva» – chiaramente non tiene”.

I Verdi e la sinistra continuano però a sostenere che ce la faremo, che è solamente una questione di volontà e di sussidi alle energie alternative, che a loro parere andrebbero ulteriormente incrementati, il tutto a spese dei contribuenti. Questa visione estremamente dogmatica è pericolosa per il Paese, perché porta poi a trovare soluzioni dove la toppa è addirittura peggiore del buco. A maggior ragione perché con l’importante utilizzo delle automobili elettriche i consumi aumenteranno presto del 25%. Mi riferisco alla recente proposta dell’associazione PowerLoop, che riunisce 22 aziende elettriche comunali, che suggerisce di ovviare alla mancanza del 30% dell’energia ora prodotta dal nucleare con l’installazione di 2’000 centrali a gas. Da una parte si dibatte sulla riduzione delle emissioni di CO2 – va ricordato che il nucleare non ne produce – e dall’altra si vuole generare energia elettrica con il gas, che di CO2 ne produce parecchio.

La si smetta dunque di girare attorno al problema e lo si affronti con pragmatismo e sano realismo. La Svizzera deve essere interconnessa con i paesi Ue anche per quanto riguarda la rete elettrica, ma deve cercare di essere il più possibile indipendente. Questo per due ragioni. La prima è di natura tecnica e relativa alla sicurezza di approvvigionamento. Ovvero, più saremo in grado di produrre elettricità internamente – con un buon mix energetico composto da nucleare e rinnovabili, stoccando l’energia in esubero con l’idroelettrico e con le nuove tecnologie che sono già realtà (idrogeno per esempio) – più daremo stabilità alla rete, indipendentemente da ciò che faranno gli altri Paesi. La seconda è politica, perché più saremo indipendenti meno saremo ricattabili dall’Ue, che anche attraverso il mercato elettrico esercita pressione nei nostri confronti. Chi ha sostenuto a spada tratta la Strategia energetica 2050 dovrebbe ora avere l’onestà intellettuale di ammettere che il progetto era utopico e difficilmente attuabile. Lo faccia per il bene del paese.