Nel 2011, l’allora consigliera federale Doris Leuthard avviò la cosiddetta "svolta energetica" in Svizzera. La strategia energetica 2050 poggia su due pilastri ideologici: zero emissioni di CO2 mediante la rinuncia ai combustibili fossili e abbandono del nucleare. Nucleare che, da questo luglio, è annoverato nella lista degli investimenti sostenibili dell’Unione europea. Nel 2016, l’Udc aveva lanciato un referendum, ritenendo che la nuova strategia energetica 2050 avrebbe messo in pericolo l’approvvigionamento del Paese e sarebbe costata ben più dei 40 franchi annui a persona promessi dal Consiglio federale. Vorrei sgomberare subito il campo da eventuali malintesi: le energie rinnovabili sono una parte fondamentale del mix energetico svizzero e la loro ragionevole promozione è auspicabile. Lo stoccaggio della produzione, tuttavia, è tecnicamente ed economicamente improponibile come dimostrano seri studi scientifici indipendenti. Si tratta, inoltre, di energie volatili. Il fotovoltaico produce in presenza di sole e l’eolico di vento. Non è dunque possibile fare affidamento su di esse in inverno, di notte o nelle giornate grigie e nuvolose. Continuare dunque a difendere l’indifendibile, ripetendo le stesse ricette oramai fallite come un mantra, non porta giovamento a nessuno. E di questo sempre più persone ne sono consapevoli. Errare humanum est, perseverare diabolicum. Le promesse dell’allora ministro dell’Energia e dell’Ambiente Doris Leuthard pesano infatti come macigni. In parlamento in risposta alle nostre critiche puntuali dichiarava: "La sicurezza dell’approvvigionamento non è in discussione". E affermava: "Non c’è alcuna incertezza sul fatto che nei prossimi vent’anni ci sarà una produzione di elettricità sufficiente in tutti i Paesi europei". Solo i più temerari attribuiscono la colpa di una prossima carenza d’elettricità al conflitto russo-ucraino, forse per cercare di lavarsi la coscienza per aver mantenuto le orecchie ben chiuse di fronte ai reiterati appelli e agli studi che evidenziavano il rischio di una penuria energetica. Ora ci troviamo alle porte di una crisi con potenziali conseguenze catastrofiche per le persone e l’economia. I prezzi stanno esplodendo, i Paesi limitrofi hanno a loro volta troppo poca energia, in barba a chi voleva barattare la capitolazione della Svizzera per sottoscrivere un salvifico accordo sull’energia con l’Ue. In mezzo a tanto trambusto, la sinistra e i verdi guardano serafici ai costi dell’energia. Questa crisi li sta avvicinando a passi da gigante al loro obiettivo: la rieducazione della popolazione e l’espansione della loro ideologia, costi quello che costi, alla faccia dei posti di lavoro, del potere d’acquisto e del ceto medio di questo Paese. La capogruppo dei Verdi pensa ancora che la benzina sia troppo economica, e non ne fa certo mistero. Dichiara "urbi et orbi" che un litro di benzina dovrebbe costare almeno 5 franchi. Quello che ciò significa per una famiglia, per la popolazione attiva, per la catena di approvvigionamento non è di alcun interesse per i benestanti rossoverdi. Nel 2017, al momento della votazione, l’Udc aveva messo in guardia la popolazione svizzera che presto avremmo dovuto confrontarci con delle docce fredde e sborsare almeno 3’200 franchi all’anno in più. E come hanno reagito gli altri partiti? Ci hanno riso in faccia. Oggi nessuno ride più: l’energia in generale e l’energia elettrica in particolare scarseggiano, l’inverno è alle porte e lacune d’approvvigionamento minacciano caos, freddo, povertà, fame e morte. La prossima crisi è stata completamente creata in casa. E finché la Consigliera federale Simonetta Sommaruga si atterrà alla fallimentare strategia energetica, non troveremo soluzioni valide per il futuro. È necessario stralciare il divieto di progettare e investire in nuove tecnologie e rimettere sul tavolo la produzione proveniente anche dal nucleare. Che senso ha mettersi nelle mani di altri Paesi spegnendo le nostre centrali senza alcuna possibilità di sostituire a medio termine questo vettore con altre fonti. Termino con un breve appunto sulle critiche che vengono rivolte all’Udc in merito a presunti rallentamenti negli investimenti nelle energie rinnovabili e sulla sua refrattarietà riguardo al risparmio energetico. In primo luogo, osservo, come molti altri, che progetti interessanti per il Paese, in particolare idroelettrici ed eolici, sono stati bloccati per anni da ambienti ecologisti sempre lesti a presentare dei ricorsi. Per quel che attiene alle forme di risparmio energetico poi, il 1° marzo 2021, il Consiglio nazionale ha bocciato una mozione Udc volta a ridurre nei mesi invernali a 20 gradi la temperatura ambiente negli edifici della Confederazione, al fine di diminuire il consumo energetico e le emissioni di CO2. Tutti contrari, rossoverdi in primis. La coerenza è merce rara.