Devo dire che sono imbarazzato (e con me tutte le compagne e i compagni dell’Mps) per il ruolo che stiamo assumendo in questi giorni. Stiamo criticando il fatto che una legge che non abbiamo votato e che consideriamo pessima (per i livelli salariali che rende legali) venga messa in vigore senza poter essere aggirata dal padronato. Un compito che spetterebbe a chi questa legge l’ha voluto e votata; ma che, vediamo, nessuno fa con grande volontà, cercando di parlar d’altro o di proporre prospettive di correzione a più lungo termine.
Hanno un bel dire le organizzazioni sindacali che respingono con forza (pensiamo in particolare all’Ocst) l’“attacco” dell’Mps a seguito del comunicato relativo all’incontro con il governo. La nostra interpretazione delle posizioni concordate con padronato e governo non sarebbe esatta; tutti invece sarebbero d’accordo che la legge va rispettata.
È possibile che noi ci sbagliamo. Ma siamo in buona compagnia; si sbaglia, ad esempio, anche laRegione che titola a tutta pagina, sintetizzando con le seguenti parole il risultato dell’incontro di giovedì tra governo, padronato e organizzazioni sindacali: “Salario minimo, la deroga resta…”. Più chiaro di così...
È evidente che, passata la buriana della discussione pubblica e parlamentare nella quale (obtorto collo) tutti, o quasi, hanno dovuto ammettere che la possibilità di deroga contenuta nella legge è stata un errore (così come è stato un errore non prendere in considerazione l’emendamento abrogativo proposto allora dall’Mps), si rifanno sotto tutti coloro che vogliono (per ragioni diverse) che quell’articolo resti.
Il padronato prima di tutti; poiché questa possibilità di deroga permette, con la scusa di “salvare” aziende (o addirittura settori economici), di continuare a pagare salari da fame; le organizzazioni sindacali (in particolare l’Ocst), che hanno sviluppato un sistema di contratti aziendali che offre il terreno per accordi di questo genere, permettendo in questo modo (via contributi professionali) di intascare somme importanti (e Ceruso, protagonista per anni di questa politica come esponente di spicco dell’Ocst, sa molto bene queste cose e tenta di sfruttarle per l’operazione TiSin); il governo, poiché in questo modo la pessima legge votata dal Parlamento (e che introduce un salario legale da fame) potrà essere un ulteriore strumento per far pressione sui salari e “promuovere” la piazza economica cantonale.
Risibili le argomentazioni di tipo tecnico-giuridico del consigliere di Stato Vitta, quando afferma che al momento non è possibile decidere nulla, in attesa della decisione del Tribunale federale, e che modifiche della legge prima della sua entrata in vigore potrebbero far scattare nuovi ricorsi che potrebbero bloccare ulteriormente l’entrata in vigore della legge il prossimo 1° dicembre. Risibili, ripetiamo, per due ragioni.
La prima è che i ricorsi al Tribunale federale toccano diversi punti (in particolare i livelli salariali minimi uniformi considerati inappropriati), ma sicuramente non quello codificato dalla lett. i) dell’art. 13 che permette di derogare ai salari minimi. Non si capisce quindi in che modo la sentenza del Tribunale federale potrebbe modificare la situazione. A meno che non accolga le ragioni dei ricorrenti, ma a quel punto si dovrebbe ricominciare tutto daccapo.
La seconda è ancora più logica ed evidente. Per tranquillizzare Vitta e i suoi timori sarebbe sufficiente che il Gran Consiglio, ad esempio nella prossima seduta di ottobre, approvasse l’emendamento presentato dall’Mps per abrogare la possibilità di deroga e poi desse mandato al Consiglio di Stato di far entrare in vigore questo articolo una volta entrata in vigore la Legge (e, verosimilmente a sentenza del Tribunale federale già nota: è evidente che è una questione di poche settimane).
Così facendo il Parlamento invierebbe un chiaro segnale politico e il povero Vitta potrebbe dormire sonni tranquilli sapendo che nulla intralcerà l’entrata in vigore della sua bellissima legge.
Ma tutto questo sembra essere in contraddizione con un fatto evidente: nella classe politica – così come in alcune delle organizzazioni sindacali – si sta affermando la volontà politica condivisa di non fare nulla. Le ragioni di fondo del padronato hanno di fatto preso il sopravvento.