La pandemia è arrivata nell’anno delle donne: quando i 50 anni dal suffragio in Svizzera, quando le scarpe rosse in piazza per dire basta alla violenza di genere. Ecco, in questo periodo storico importante per i diritti delle donne, dove si è tornato a parlare di differenza salariale, di strade ancora lunghe da percorrere, le donne sono state vittime privilegiate di questo virus: non dal punto di vista clinico, ma sociale ed economico. In particolare quelle donne che svolgono lavori precari, di assistenza, di cura, nelle case, attività che richiedono vicinanza, il toccare: lavori che sono stati all’improvviso cancellati (temporaneamente) dalla pandemia. E poi, quando si riparte, dei cambiamenti sono inevitabili: meno lavoro, condizioni diverse. Oltre alle conseguenze dirette, immediate sul mercato del lavoro femminile, emerge forte un pensiero più “antico”, quello più di fondo – culturale – del ruolo della donna nel mondo del lavoro e nella famiglia. Il lavoro femminile non è solo una questione di diritti delle donne. La volontà e il diritto delle donne di svolgere un’attività lavorativa economicamente e personalmente gratificante si sovrappone alla necessità di avere un doppio salario al fine di poter far fronte a tutte le spese. Inoltre, gli ambienti economici e il Consiglio federale hanno esplicitato da tempo l’obiettivo di aumentare il lavoro femminile quale misura di sostegno all’economia nazionale. Il doppio impegno casa-famiglia richiesto alle donne per poter crescere dei figli dovrebbe dunque a questo punto essere accompagnato da un superamento dell’idea ancora dominante di organizzazione familiare tradizionale e modificare in tal senso le basi delle politiche familiari, sociali, e dell’attuale egemonia culturale nel mondo economico e del lavoro.