È ormai Primavera, ma io sto ancora aspettando l’inverno, quello vero, come quando ero bambina, e andavo a fare il corso di sci a Cardada. Statisticamente rimangono 40 anni di vita alle stazioni sciistiche (le più fortunate). Si tratta di un orizzonte temporale a cui gli amministratori devono guardare per pensare a modelli diversi di sviluppo. Persiste la situazione emersa con il Covid-19, cronicizzata dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalla crisi sociale ed economica. Abbiamo bisogno di alternative che mirano a riconvertire gli impianti. A causa della crisi climatica, si riducono sempre di più i periodi in cui si possono praticare attività prettamente “nevose”. Bisogna cambiare scala. La montagna ci ha sempre insegnato il senso del limite. È tempo di sviluppare un indotto che va oltre l’industria della neve, con strutture aperte tutto l’anno. Le piste, 121 km in Ticino, in estate potrebbero ospitare gli sportivi che praticano la mountain bike e altre discipline. Ma non solo, mi piace sognare in grande. Spa nel bosco, percorsi yoga a cielo aperto, sentieri didattici, raccolta di erbe e fiori, sentieri dedicati ai nostri amici a 4 zampe, aziende agricole che producono prodotti di alta qualità a km 0, campeggi per dormire sotto cieli stellati a 2’000 metri... Un tempo si andava a pattinare sui laghetti gelati, poi si sono costruite le piste di ghiaccio. Anche il nuoto si praticava solo nei laghi e nei fiumi, e in seguito si è arrivati alle piscine coperte. Gli adeguamenti ci sono sempre stati e non bisogna temerli. La «tradizione» a volte è costretta a innovarsi e rinnovarsi. Come diceva bene Albert Camus, "girando sempre su sé stessi, vedendo e facendo sempre le stesse cose, si perde l’abitudine e la possibilità di esercitare la propria intelligenza”.