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Mobilità e mobilitazione: parliamo di lavoro

In fatto di mobilità ci si spende in crucci e soluzioni: traffico e congestionamenti, accessibilità dei mezzi pubblici, parcheggi sì o no, mobilità elettrica. Urge però una riflessione più ampia: non si può parlare di mobilità senza parlare di lavoro. Questo soprattutto nel Mendrisiotto e Luganese, dove gli incolonnamenti fanno durare ore la tratta pendolare e gravano su popolazione e territorio.

In un Ticino dove mancano controlli qualitativi su condizioni e orari di lavoro, dove ogni lavoratrice o lavoratore di categoria alla domanda "ma avete un sindacato?" sbuffa e ridacchia amaramente, dove i salari hanno uno stacco di più di mille franchi al mese rispetto a quelli d’Oltralpe… perché è così difficile parlare di frontalierato in termini oggettivi e non polarizzati? Per l’eterno dio profitto il datore strizza l’occhio alla vicina Penisola, mentre un certo dipartimento incoraggia il frontalierato non rilasciando permessi che permetterebbero di vivere e lavorare nel nostro cantone, non solo attraversarlo. Facendo un passo indietro il problema è chiaramente sistemico, e accanirsi sulle persone che trovano "fortuna" nel cantone è insensato.

Anche perché le persone, nel frattempo, se ne vanno. Chi incoraggia soluzioni miopi come l’ampliamento dell’autostrada sa bene che l’Ufficio di statistica svizzero prevede (unico Cantone assieme al Grigioni) una diminuzione della popolazione in Ticino. Perché perciò un aumento del traffico? La visione economica per il nostro cantone vive di una limitatezza gemella a quella riservata alla mobilità: mancano le necessarie leggi e verifiche di orari e condizioni lavorative, ma non certo sgravi fiscali (a discapito della retorica dei conti in rosso) mirati al ceto più ricco per attirare fantomatici investitori. È ora di investire in un’economia che abbia una vera ricaduta positiva per la popolazione e per il territorio. Ciò significa salari, condizioni e orari di lavoro dignitosi, promuovendo progetti pilota di settimana lavorativa ridotta, e potenziamento della formazione in settori fondamentali come la salute.

Lavorare dove si vive è, per una buona maggioranza, una situazione ideale. Dunque, oltre all’analisi a cavallo del confine, mi permetto una visione: valli dove vivere, lavorare, contribuire. Le nostre valli vanno spopolandosi, una triste realtà che dipinge un risucchio da parte dei grandi centri di servizi, mezzi, risorse economiche e umane. Puntiamo non solo alla fondamentale decentralizzazione dei servizi ospedalieri, ma anche a soluzioni che permettano alle persone di rivivere le proprie valli: questo non senza un ripensamento di lavoro e spostamenti. Adibiamo le famose "poste che fanno su e giù vuote" anche alla consegna al dettaglio, utilizzando le cooperative che vanno scomparendo come luoghi di incontro, lavoro e ritiro di pacchi. Promuoviamo opportunità di lavoro da remoto, offrendo spazi di co-working comunali, incoraggiando l’incontro e il consumo locale. Muoviamoci per il nostro territorio!