Restano da chiarire statuto e questioni fiscali. Sarebbe in corso una trattativa fra Svizzera e Italia
L'emergenza coronavirus, come è noto, ha intensificato il ricorso al lavoro in remoto anche per i frontalieri. La questione sembra incidere direttamente sulla tassazione in base al principio che il lavoro viene tassato nel luogo in cui si svolge. C'è quindi il rischio che ai frontalieri assunti in Canton Ticino venga chiesto di pagare al fisco italiano. Soprattutto alla luce della precisazione della Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate della Lombardia: ''Relativamente ai rapporti con la Svizzera di regolazione tributaria dei redditi di lavoro, la nozione di frontaliero riguarda solo i lavoratori che quotidianamente si recano dalla propria residenza in uno dei Cantoni confinanti con l'Italia''.
Ne discende che per i frontalieri che lavorano a distanza (quindi senza lo spostamento fisico), vengano meno i requisiti per accedere al regime fiscale attualmente in vigore, almeno per il periodo di mancato collegamento territoriale con la Svizzera. Per quanto è dato sapere del caso si stanno occupando sia le autorità italiane che quelle svizzere. Sarebbe in corso una trattativa per superare i problemi tributari che derivano dalla convenzione del 1974. Una convenzione che non prevede deroghe al criterio del rientro giornaliero per mantenere lo status di frontaliere.
Ciò significa che il lavoratore residente in Italia e costretto al telelavoro, in assenza del requisito del rientro giornaliero a domicilio non potrebbe più essere considerato frontaliere, per cui la potestà impositiva spetterebbe all’Italia, mentre per il frontaliere rimasto oltreconfine come una parte del personale sanitario durante l’emergenza questa potestà continuerebbe a spettare alla Svizzera.