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‘In Photophobia c’è la forza di un Paese’

Ffdul: incontro con la direttrice di Amnesty International Ucraina, preludio a un film ‘che è il simbolo della resilienza di una nazione’

Veronika Velch
(Lucia Sabatelli)
17 ottobre 2024
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«Non possiamo permetterci di essere stanchi. Quando hai un orso selvaggio che cerca di ucciderti, hai solo due opzioni: correre o combattere finché l’orso non sarà più esausto di te», ha detto Veronika Velch, direttrice di Amnesty International Ucraina, durante l’incontro al Grand Hotel Villa Castagnola, preludio alla proiezione di ‘Photophobia’ al Film Festival Diritti Umani di Lugano, in programma oggi al Cinema Corso (20.30). La sua è una metafora, ma descrive la brutale realtà in cui si trova il suo Paese dal febbraio 2022, quando l’invasione russa ha stravolto la vita di milioni di persone, inclusa la sua. Eppure, in mezzo a questo scenario devastante, la direttrice non vuole che l’Ucraina sia ridotta a una semplice vittima.

Per lei, ‘Photophobia’ di Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarčík che narra la storia di due bambini rifugiati nella metropolitana di Charkiv per sfuggire ai bombardamenti, è il simbolo della resilienza ucraina. «È un esempio meraviglioso della forza che l’Ucraina ha dimostrato fin dalla prima settimana di guerra», ha aggiunto Velch. Un film che è capace di raccontare non solo i fatti, ma anche le emozioni, umanizzando il conflitto in un modo che pochi altri media riescono a fare. «Non è un film violento o sanguinario, e proprio per questo può arrivare a persone che di solito evitano di confrontarsi con la brutalità della guerra».

Gli obiettivi

Veronika Velch, che ha assunto la direzione di Amnesty International Ucraina solo sei mesi fa, non è nuova alle sfide. Dopo anni trascorsi negli Stati Uniti a lavorare sulla sicurezza nazionale e i diritti umani, si è trovata di fronte a una missione complessa: ricostruire la presenza operativa di Amnesty in un Paese lacerato dal conflitto. Tra le sue priorità oggi c’è un obiettivo cruciale: garantire che i prigionieri di guerra ricevano un trattamento dignitoso. «Chiediamo che siano rispettati tutti i diritti dei prigionieri di guerra ucraini su suolo russo», ha affermato con fermezza. Ma nulla può preparare alla complessità di vivere e lavorare in un Paese in guerra, dove il confine tra vita e morte è sottilissimo. La vita in Ucraina è diventata una lotta continua non solo contro le forze russe, ma anche contro la costante erosione delle libertà civili. «La situazione è difficile sia per me che per la mia squadra di Amnesty International, perché il nostro obiettivo è quello di ristabilire una base operativa a difesa dei diritti umani in un Paese dove vige la legge marziale e ci sono delle restrizioni anche nei movimenti e nella vita quotidiana», ha raccontato, descrivendo come persino la propria privacy sia diventata un lusso in Ucraina. «Le autorità hanno accesso ai messaggi privati in nome della sicurezza nazionale, qualcosa che in un Paese normale sarebbe una violazione della privacy. Però nel mio avviene».

La responsabilità dei media

Per chi osserva da lontano, questa realtà può sembrare difficile da afferrare, ma il cinema diventa il canale perfetto per renderla tangibile. A differenza dei documentari, la finzione cinematografica ha il potere di immergersi nelle emozioni, raccontando quelle storie che spesso sfuggono ai rapporti ufficiali e alle statistiche. In un contesto di guerra che ha stravolto milioni di vite, il cinema riesce a raggiungere anche chi preferisce cambiare canale che affrontare la brutalità della guerra. «‘Photophobia’ è fiction, ma è una fiction che deriva dalla vita reale ed è difficile individuare il confine tra l’una e l’altra. È la stessa sensazione di disorientamento che provano le persone che vivono in guerra. I dialoghi nel film non sono artificiali, riflettono le conversazioni reali che le persone hanno», ha sottolineato la rappresentante di Amnesty, mettendo in luce come un film non si limiti a raccontare i fatti, ma riesca a trasmettere anche le emozioni che li attraversano, dando un volto umano al conflitto in un modo che pochi altri mezzi di comunicazione sanno fare.

La narrazione mediatica, pur avendo i suoi lati positivi, non è immune da criticità. Con il proseguire della guerra, il pericolo è quello di cadere nella semplificazione: la copertura giornalistica tende spesso a ridurre la complessità del conflitto a titoli sensazionalistici, banalizzando il dramma umano e le sue sfumature. «Credo che ogni tipo di reportage tenda a semplificare per raggiungere un pubblico più ampio. Può infastidirmi, sia come professionista che come ucraina, quando i fatti vengono distorti. O, peggio ancora, quando si tenta di mettere sullo stesso piano l’Ucraina, vittima dell’aggressione russa, e la Russia, che è responsabile di questa guerra».

Velch ha evidenziato come il rischio della “fatica mediatica” – quella sensazione di essere sopraffatti da notizie catastrofiche che ormai sembrano tutte uguali – possa far scivolare l’Ucraina nell’indifferenza globale ma «finché l’Ucraina è ancora al centro delle notizie, finché si parla del nostro popolo e gli ucraini hanno un rifugio sicuro in Europa, non si può dire che stiamo perdendo».

Il freddo inverno

L’Ucraina si prepara ad affrontare un altro avversario letale: l’inverno. «La Russia ha distrutto il 60 per cento della rete elettrica ucraina. Non sappiamo come sopravviveremo all’inverno senza elettricità stabile», ha detto la leader dell’organizzazione, descrivendo la precarietà delle infrastrutture del Paese. «Non si tratta solo del riscaldamento, ma di tutto. La rete elettrica controlla l’acqua, il riscaldamento e persino la comunicazione di base come i cellulari e Internet».

L’impatto avrà un effetto domino sulle famiglie, i bambini e il loro diritto all’istruzione. «L’istruzione è una delle ragioni per cui molte famiglie ucraine stanno lasciando il Paese. Se non possiamo garantire l’educazione, perderemo un’altra generazione», ha ribadito, sottolineando che la migrazione forzata non è solo una questione di sicurezza fisica, ma anche di opportunità per il futuro. Senza scuole riscaldate, senza elettricità e con attacchi costanti, l’infanzia in Ucraina è diventata una battaglia quotidiana.

Il peso del contesto internazionale

Ma l’Ucraina non è l’unica a soffrire. La saturazione mediatica è un problema globale, e mentre alcuni conflitti raggiungono le prime pagine, altre crisi rimangono in gran parte ignorate. «Abbiamo la Palestina, abbiamo il Sudan, e tanti altri luoghi dove gli ospedali pediatrici vengono bombardati. L’Ucraina è diventata una delle tante. Ma questo è un problema che non riguarda solo l’Ucraina, è un problema internazionale, considerando la situazione attuale», ha spiegato, senza dimenticare le vittime invisibili di guerre lontane.

La resilienza degli ucraini non è infinita, ma la loro determinazione è incrollabile. «Siamo tutti resilienti. Gli ucraini sono resilienti. Ma abbiamo bisogno che il mondo resti al nostro fianco, perché non possiamo vincere da soli».