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Dall’Ucraina occupata a Pedrinate a soli 17 anni

Intervista a un giovane rifugiato ucraino, giunto in Ticino nel 2023 per sfuggire alla guerra. Un punto di vista differente sul conflitto

In sintesi:
  • Oleh sogna di diventare un giorno un giornalista
  • La ‘fuga’ grazie all’aiuto di un amico conosciuto nel mondo virtuale dei videogiochi online
Dopo soli 18 mesi, Oleh dimostra già una buona padronanza dell’italiano
17 settembre 2024
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Per chi ha avuto la fortuna di nascere in Svizzera, le guerre sono spesso percepite in modo distaccato. I conflitti di cui sentiamo ripetutamente parlare costituiscono solo notizie, nozioni di geopolitica, tragedie lontane da noi. E viene poi naturale provare lo stesso distacco verso le persone che in Svizzera cercano rifugio, scappando appunto dalle suddette guerre, non sapendo quanto in realtà queste persone sono simili a noi. Un esempio è Oleh, un giovane ucraino appena maggiorenne che sogna di diventare giornalista, e che, nel febbraio del 2023, all’età di 17 anni, ha dovuto abbandonare il suo Paese e la sua famiglia, per sfuggire alla miseria e alla coscrizione che gli sarebbe toccata non appena raggiunta la maggiore età. Dopo un lungo viaggio in autobus, Oleh è approdato a Pedrinate, grazie all’aiuto di un amico conosciuto nel mondo virtuale dei videogiochi online. Lo abbiamo intervistato per capire com’è la guerra in Ucraina, vista dalla prospettiva di un adolescente.

Partiamo dall’inizio, com’è stato crescere in Ucraina?

Sono nato nella città di Sievierodonetsk, nella regione di Luhansk, la più a est del Paese. In generale ho passato una bella infanzia, la città era tranquilla e sicura, con un sacco di spazi verdi e attività. Questo fino al 2014, quando la mia città è stata occupata dai separatisti filorussi. Ricordo che in quei mesi i miei genitori non mi facevano uscire di casa, perché sentivamo spesso di bambini che venivano rapiti dai terroristi per ottenere un riscatto. A venir rapiti erano anche attivisti e dissidenti, e si sentiva parlare di questi bunker o cantine sotterranei, presenti nelle città occupate, dove queste persone venivano portate per essere torturate. Poi c’erano i combattimenti, anche se non intensi come quelli scoppiati nel 2022, ma c’erano. Sentivo spesso rumori di elicotteri e di armi automatiche. Non è stata una bella esperienza, ma poi il conflitto si è placato, e la linea del fronte si è fermata a circa 25 chilometri da dove abitavamo, e diciamo che in città è tornata la tranquillità.

E com’è stato tornare alla normalità dopo quel conflitto?

La vita è ripresa regolarmente, se non per il fatto che noi bambini dovevamo stare attenti alle mine o agli ordigni inesplosi. Ogni sei mesi a scuola facevamo degli incontri dove ci veniva spiegato cosa fare se vedevamo una mina. In quel periodo Sievierodonetsk è diventata la capitale amministrativa della regione, dal momento che la città di Luhansk è stata occupata (nel 2014 i separatisti, grazie al sostegno dell’esercito russo, hanno dichiarato la regione repubblica indipendente, ndr). Di conseguenza abbiamo avuto molti rifugiati provenienti dai territori occupati, che hanno portato grande beneficio alla città, perché c’era la volontà di lavorare e di renderla più bella e abitabile.

Poi è arrivato il 2022...

Sì, il 24 febbraio mi sono svegliato e ho saputo che era iniziata l’invasione russa, e viste le nostre precedenti esperienze durante il periodo di occupazione, con la mia famiglia abbiamo deciso di partire nei primi giorni del conflitto. Abbiamo preso qualche vestito, qualcosa da mangiare, il mio computer, e siamo partiti verso ovest. Non sapevamo veramente dove andare, l’unica preoccupazione era allontanarci il più possibile dal fronte, anche se non era facile, dato che lungo la strada c’erano diversi obiettivi strategici, e spesso vedevamo missili passarci sopra la testa.

Come ti sei sentito?

In realtà un po’ me lo aspettavo, perché seguivo molto le notizie. Però, come tutti, speravo che non sarebbe successo. Tutte le persone che conoscevo credevano che non ci sarebbe stata la guerra, anche perché gli stessi politici hanno continuato a ripetercelo fino al giorno prima dell’inizio dell’invasione. Persino Zelensky ha continuato a rassicurarci fino all’ultimo, dicendo che non sarebbe successo nulla e che in primavera saremmo andati tutti a fare le nostre grigliate all’aperto. Anche dopo il 24 febbraio, durante la nostra fuga, nutrivamo la speranza che si sarebbe trattato di una situazione temporanea, che la diplomazia avrebbe presto risolto tutto e noi saremmo potuti tornare presto alle nostre case. Purtroppo non è stato così e abbiamo perso quasi tutto quello che avevamo.


Keystone
La città natale di Oleh, Sievierodonetsk, ormai in macerie

Cos’è successo dopo la vostra fuga?

Quella sera ci siamo fermati in un albergo vicino alla città di Poltava, in Ucraina centrale. Lì ci siamo stabiliti per alcune settimane, fino a quando pure quella zona è diventata pericolosa, perché avevamo sentito parlare della presenza di agenti sabotatori russi, entrati in Ucraina per cercare obiettivi militari da colpire con i missili e compiere atti terroristici. Quindi ci siamo spostati ancora, sempre cercando di evitare le grandi città, perché nonostante Putin avesse detto che non avrebbe toccato obiettivi civili, era evidente fin da subito che non avrebbe mantenuto la promessa.

E come vivevate? Come trascorrevate le vostre giornate?

Io in quel periodo ero ancora uno studente e seguivo le lezioni a distanza, quindi quando possibile cercavo di studiare. Per il resto non c’era molto da fare: seguivamo le notizie cercando di supportarci l’un l’altro. Durante i nostri spostamenti abbiamo trovato molte persone disposte ad aiutarci, c’è chi ci offriva da mangiare, chi ci ospitava in casa propria, chi ci regalava vestiti. Ricordo che una volta ci trovavamo in un villaggio vicino a Chernivtsi, e abbiamo chiesto a un passante dove trascorrere la notte. In risposta lui ci ha ospitati a casa sua lasciandoci le chiavi di casa. E non appena i vicini hanno capito che eravamo dei rifugiati, sono venuti a portarci da mangiare, dei vestiti, e persino un materasso.

Com’è stato essere studente in una situazione del genere?

Quando la guerra è scoppiata io andavo ancora alle superiori, e avrei dovuto terminare la scuola in giugno. Vista la situazione, il governo ucraino aveva concesso di effettuare gli esami finali a distanza, oltre che ridurli a un’ora. Sai, è difficile fare un esame di tre ore con le sirene che suonano in continuazione. Sono stato promosso, e quando ci siamo stabiliti a Chernivtsi, mi sono iscritto all’università, per studiare giornalismo. La città era abbastanza sicura, ma poi è arrivata la crisi umanitaria. Ogni giorno facevamo la fila per ottenere un po’ di farina o altri beni alimentari. Non avevamo soldi. Spesso ci ritrovavamo senza acqua o elettricità. E senza elettricità è davvero difficile studiare. Poi è arrivato l’inverno, e la situazione è peggiorata ulteriormente. Eravamo sempre ammalati, in casa la temperatura era di cinque gradi, mentre all’esterno era a meno dieci, e non avevamo soldi per le medicine. È stato in quel periodo che ho deciso di venire in Svizzera.

Perché proprio in Svizzera?

Perché avevo un amico che ci abitava, più precisamente a Pedrinate. Ci eravamo conosciuti giocando online, parlando in inglese. Durante la guerra siamo rimasti in contatto, e la sua famiglia ogni tanto ci mandava cibo, vestiti e medicine. Ricordo in particolare i cioccolatini svizzeri. Ci hanno davvero aiutato moltissimo e gli sono molto grato, così come sono grato a tutte le persone che ci hanno aiutato lungo la strada. Ma a febbraio 2023 la situazione era diventata troppo difficile e ho capito che non potevo rimanere. La mia famiglia e quella del mio amico si sono messe in contatto, e dopo che mia madre è stata rassicurata, abbiamo organizzato il viaggio.

Come hai fatto ad arrivare fino a qui?

Abbiamo trovato questa compagnia di bus privata, e ha accettato di portare me e altre persone. È stato un viaggio di 25 ore, diretto fino a Milano e, dato che ero minorenne, ho potuto lasciare il Paese senza problemi. Poi da Milano ho dovuto prendere un altro bus fino a Chiasso, dove la madre del mio amico è venuta a prendermi. Appena arrivati a casa, mi ha mostrato la camera dove avrei dormito, e mi ha dato un quaderno per annotarmi tutte le parole italiane che imparavo. Fin dal primo giorno mi sono impegnato per imparare la lingua, anche perché in questa famiglia quasi nessuno parlava inglese.

Arrivare dall’Ucraina e adattarti a un contesto culturale così diverso, non dev’essere stato facile.

In realtà trovo che il Ticino sia un posto meraviglioso, e anche la gente con me è stata gentilissima. Certo, ci sono state delle difficoltà, specialmente linguistiche, dato che quando sono arrivato non sapevo nemmeno una parola di italiano. Poi ho avuto uno shock culturale, ma in positivo: mi pare il secondo o terzo giorno dopo il mio arrivo, il mio amico mi ha portato al Rabadan a Bellinzona, che mi ha davvero impressionato. Sai, dopo tutto quello che avevo passato, vivendo ogni giorno sapendo che sarei potuto morire per un missile, vedere tutta questa gente in maschera, con la musica e i colori, è stato quasi rilassante, perché ho capito che per me quel brutto momento della mia vita era finito. Poi anche Pedrinate, dove vivo tuttora, è davvero carinissimo, mi piace vivere qui.

E a livello burocratico com’è stata la tua esperienza?

È stato molto semplice e veloce. Due giorni dopo il mio arrivo siamo andati al centro asilanti per registrarmi. Lì mi hanno dato un permesso provvisorio, e circa tre settimane dopo ho ricevuto il permesso S. Ho anche iniziato a ricevere un piccolo sussidio di 500 franchi, come tutti i rifugiati, che uso per le spese essenziali, come cibo, vestiti e i trasporti pubblici.

Adesso però vivi con i tuoi genitori.

Sì, dopo alcuni mesi anche loro sono riusciti a raggiungermi, e devo dire che è stato un grosso sollievo, perché ero sempre preoccupato che potesse succedere loro qualcosa. Anche a loro piace stare qui, seguono i corsi di italiano offerti dal Cantone, e cercano di svolgere piccoli lavori. Certo, per loro è più difficile, visto che in Ucraina avevano tutto ciò per cui avevano lavorato. Alla loro età è più difficile perdere tutto e riuscire a ricominciare una nuova vita, ma ce la mettono tutta.

Quali sono i tuoi piani per il futuro?

Prima di venire in Svizzera mi sono accordato con l’università per proseguire gli studi online. Sto studiando in autonomia, e faccio gli esami in videochiamata. Dopodiché, una volta preso il diploma, vorrei andare a studiare comunicazione all’Usi. Il mio obiettivo è quello di diventare giornalista, e ho già svolto diversi stage in Ticino (tra cui uno a laRegione, ndr). Qualche mese fa ho passato l’esame d’italiano B2, e vorrei presto imparare il dialetto ticinese, perché mi piace molto come suona, e perché voglio continuare a integrarmi il più possibile.