‘È una storia di liberazione femminile‘ ha spiegato l'attrice a proposito dell'atteso, e discusso, ‘Babygirl’, versione femminile di ‘Attrazione fatale’
«Non c’è niente di democratico nella natura» dice in conferenza stampa Antonio Banderas dopo che uno spericolato accenno alla “censura del politicamente corretto” ha fatto correre un brivido lungo le schiene scultoree del resto del cast di ‘Babygirl’. Molto più che un annunciato ‘star vehicle’ per la seconda giovinezza artistica della pur gigantesca Nicole Kidman, ‘Babygirl’ è la prima controversa sorpresa del Concorso di Venezia 81, e prendendo a prestito l’ambivalente definizione di Truffaut senz’altro il primo “film malato” della competizione.
La regista olandese Halina Rejin lo definisce un thriller erotico che aspira ad aggiornare e in qualche modo sovvertire, attraverso lo sguardo femminile, classici degli anni Ottanta e Novanta come ‘Attrazione fatale’ e ‘Basic Instinct’. È una definizione interessante, dal momento che in ‘Babygirl’ – che racconta l’intensa e disturbante relazione tra la Ceo di una multinazionale, Kidman appunto, e uno stagista molto più giovane ma tutt’altro che sprovveduto interpretato da Harris Dickinson – non c’è traccia di omicidi né di sottotrame poliziesche, e anche sul piano delle minacce non si va oltre il “se mi lasci vado dalle risorse umane”. Nel 2024, si direbbe, a fare il thriller basta e avanza la posta in gioco del sesso, con le sue implicazioni di violenza e potere.
«Non chiediamo noi di nascere, di diventare umani o animali o piante. Restiamo attaccati a come nasciamo. (...) Restiamo sempre in un certo senso, prigionieri dei nostri istinti», prosegue Banderas, che nel film è il marito di Romy/Kidman e si conferma fuoriclasse assoluto nel ruolo del bello, buono e un po’ fesso. Come suggerisce il titolo, in effetti, ‘Babygirl’ è un film su una donna in qualche modo infantilizzata dal proprio successo, immersa come molti di noi in una serie di “giochi”, quello della carriera, quello del matrimonio, quello del sesso, per vincere nei quali ha imparato a reprimere i propri desideri più oscuri, rimanendo una sorta di bambina cinquantenne ad altissima funzionalità.
«Babygirl parla di desideri, pensieri segreti, matrimonio, verità, potere e consenso. È una storia di liberazione femminile» spiega Nicole Kidman, lo sguardo turchese che penetra come un laser il muro di cristalli liquidi che si alzano a filmarla appena tocca a lei parlare. Tra lei e Harris Dickinson, già Palma d’Oro a Cannes 2022 con ‘Triangle of Sadness’ e in rampa di lancio per diventare una sorta di Tom Hardy della fluid generation, ci sono scene di sesso molto intense, nelle quali la camera, lavorando sul dualismo tra viso e corpo, cioè tra spiritualità e materialità del sesso, non risparmia lunghi sguardi né all’uno né all’altro. «In fondo il sesso nei film è coreografia», sorride Dickinson con l’incoscienza dei suoi 28 anni. Kidman, che forse sullo schermo non si era mai messa – in tutti i sensi – così a nudo, non la fa altrettanto semplice. «Io approccio tutto artisticamente, non mi lascio frenare dai dettagli. Mi chiedo solo: come darmi a questo personaggio senza censurare la mia regista? Per questo è importante sentirsi protetti, altrimenti è molto semplice sentirsi abbandonati (...) è stato intenso e liberatorio mettermi nelle mani di Halina, che ha scritto e diretto questa storia».
Reijn, 48 anni, alle spalle una carriera da attrice in cui ha lavorato anche con Paul Verhoeven, proprio il regista di ‘Basic Instinct’, alla regia aveva già fatto parlare di sé nel 2022 con ‘Bodies Bodies Bodies’, un capriccio di ammazzamenti tra ragazzini leggero come una bolla di sapone ma di una certa classe. Adesso con ‘Babygirl’, che verrà distribuito dalla venerabile A24, entra senza troppi complimenti nel mondo dei grandi. Quando il tono della conferenza si ammoscia, e il cast si perde in un coro di smancerie reciproche, ci pensa infatti lei a rimettere un po’ di pepe: «Il film è sul rapporto delle donne coi propri corpi» e «sul divario orgasmico, sull’enorme divario orgasmico, che ancora esiste tra uomini e donne. Prendete nota, uomini!». Non proprio una glossa da cinema d’essai, ma la forza di ‘Babygirl’ è precisamente quella di parlare delle cose più serie, sesso, amore e potere, senza prendersi troppo sul serio, e con un linguaggio che non lascia fuori nessuno. «Il nucleo è: riusciamo ad amare noi stessi a tutti i livelli?». Conclude Reijn: «Spero che il film funzioni come tributo all’amore di sé e alla liberazione».