laR+ L’intervista

Mauro Porro, avvocato mancato per amore del jazz

Ha studiato legge, si è pure laureato, ‘ma non è durata molto’. Come le signore, non dice l’età. JazzAscona lo accoglie in tre diverse band

Un innamorato di Ascona
(Gioele Pozzi/JazzAscona)
24 giugno 2024
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Un amore sconfinato per il jazz. Filologicamente corretto. Ecco quello che muove Mauro Porro, uno degli artisti chiave in Italia nell’ambito del jazz classico. A JazzAscona è presente con ben tre band. Di seguito, la nostra chiacchierata.

Mauro per chi non ti conoscesse, ti presenti succintamente come artista e come uomo?

Beh sono da anni un musicista professionista, ho studiato d’avvocato e mi sono pure laureato, ma non è durata molto (ride, ndr). L’età? Non la dico, come le signore. Diciamo che sono un po’ più in là del mezzo del cammino della mia vita. Il mio lavoro è la mia più grande passione! La musica mi ha dato tanti successi a livello personale e umano. Suono da quando avevo sei anni. Ho incominciato col pianoforte poi mi sono approcciato ad altri strumenti, a cominciare dal clarinetto per poi passare ai saxofoni, alla tromba e alla batteria. Tutto ciò perché spinto dalla passione per la musica, in particolare verso quella degli anni ’20.

L’amore per il jazz: come è scoccata la scintilla?

Tutti gli appassionati di jazz o hanno avuto dei genitori o dei nonni appassionati oppure ci sono capitati per puro caso. A me è successo attorno ai 13 anni. Durante la consueta lezione di pianoforte, ovviamente classico, il mio storico maestro Gabriele Jardini mi fece leggere un brano di ragtime, che è un po’ il genere precursore del jazz. E lì è scattato qualcosa di profondo, ho incominciato ad ascoltare il jazz dagli esordi, poi le dixie band per poi arrivare allo swing, quindi le varie forme di jazz classico create fra il 1918 e il 1945.

Il tuo approccio è da sempre è filologicamente corretto. Vuoi spiegarci il tuo intento?

Mi sono specializzato nell’esecuzione filologica innamorandomi dei dischi originali delle orchestre degli anni Venti e Trenta, ma anche perché ispirato dalle orchestre del revival filologico e in particolare da alcune band dell’est Europa, a cominciare da quella del grande Pavel Klikar, che negli anni ’70 è stato il primo, con il suo immenso genio, a utilizzare questo approccio, proponendo esecuzioni basate su orchestrazioni fedelmente riprodotte dai dischi, l’utilizzo esclusivo di strumenti dell’epoca originali e un look che richiamava esattamente quello delle orchestre dell’epoca. E questo è anche il mio approccio. L’idea di fondo è di offrire alle persone il piacere di un affascinante viaggio nel tempo che fu.

Anche tu trascrivi la musica dai 78 giri, è corretto?

Sì, certo, le orchestrazioni sono tutte realizzate da me a partire dai 78 giri e ovviamente anche dai supporti fonografici moderni. Per l’esecuzione faccio capo a musicisti specializzati che fanno già parte delle mie orchestre, gente esperta cui affianco musicisti giovani che cerco di coinvolgere, portandoli verso questa musica ormai abbastanza negletta. E qui c’è tutto un lavoro da fare per spiegargli come devono essere interpretate ed eseguite quelle musiche. Facciamo prove anche abbastanza estenuanti, nel senso che molte volte in quattro ore si provano due brani di tre minuti…

Ad Ascona ti presenti come leader di tre gruppi…

Quello che si potrebbe definire il gruppo base è rappresentato dai Dixie Blue Blowers, che si presentano in quartetto o sestetto, e che suonano il repertorio dei piccoli gruppi strumentali, bianchi e afroamericani, degli anni Venti, il jazz nello stile Dixieland, New York, Chicago e New Orleans che suonava gente come Red Nichols, Bix Beidebecke o Louis di Armstrong. Poi abbiamo la nostra formazione ammiraglia, i Chicago Stompers, interamente rinnovata. È una all star band che include i maggiori esponenti giovani dell’hot jazz del Nord Italia e che esegue il repertorio delle grosse orchestre della degli anni ’20.

Infine, ad Ascona si potranno sentire anche gli Hot Gravel Eskimos, un ottetto col quale riproduciamo fedelmente la musica swing degli anni Trenta/Quaranta, sia quella delle piccole orchestre che delle grandi big band dell’epoca.

Il jazz in Italia, ma non solo, non è proprio mainstream. Quali spazi riesci a ritagliarti con la tua musica? Si può campare di jazz? E in questo ambito, c’è un’evoluzione in un senso o nell’altro, una tendenza, che si staglia all’orizzonte?

Sono 23 anni che suono professionalmente, un tempo in cui ho costruito realtà lavorative piuttosto solide, come l’agenzia di servizi ‘La Boutiquephonie’ (www.boutiquephonie.it) che raccoglie il frutto di tutti gli sforzi. Resta il fatto che in Italia campare di sola musica, cioè senza nemmeno l’ausilio dell’insegnamento musicale nelle scuole e privatamente, come faccio io, è un’impresa ardua. Io stesso, che attualmente sono impegnato in numerosi progetti, dalla musica dal vivo alle residenze e direzioni artistiche, mi scontro con uno Stato, quello italiano, dominato praticamente da quando sono nato da governi incapaci e addirittura spietatamente pretenziosi verso categorie deboli come la nostra.

Mi scontro anche con una certa ignoranza, generica, segnatamente in ambito intellettuale, del popolo italiano di cui faccio parte. Da anni ripeto che l’antidoto migliore per crescere intellettualmente è potenziare il sistema della scuola dell’obbligo che, ancora a oggi, nutre in maniera insufficiente e imparziale la generazione delle future classi dirigenti.

So che si molto legato a JazzAscona...

Sì, ci ho suonato tante volte, e nel 2010 una delle mie formazioni, i Chicago Stompers, ha vinto il Premio del Pubblico. È un festival unico, con una sua funzione specifica. La prima volta ad Ascona risale al 2003. Era il centenario di Bix e scrissi un articolo per il giornale del Festival…

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